50 anni fa finiva la Primavera di Praga. P. Glaser: il rischio dell'oblio
Luisa Urbani – Città del Vaticano
“ […] la tranquillità dell’Europa è scossa, compromessa quella del mondo; e la pace, che la maturità dei tempi, anche per un insopprimibile senso cristiano, va cercando e costruendo, dopo le fierissime esperienze delle guerre passate ed anche di quelle in corso, la pace è fieramente vulnerata. Dio voglia che non lo sia mortalmente”.
Con queste parole, il 22 agosto del 1968 Paolo VI, prima di affrontare il suo viaggio apostolico a Bogotà, commentava quanto accaduto la notte prima a Praga. Una tragedia che passerà alla storia come la fine della Primavera di Praga.
Una riforma fallita
La Primavera di Praga, è stato un momento storico di liberalizzazione politica e apertura alla cultura avvenuto in Cecoslovacchia, durante il periodo in cui questa era sottoposta al controllo dell'Unione Sovietica. Iniziò il 5 gennaio del 1968 quando Alexander Dubcek venne eletto segretario del partito comunista cecoslovacco. Sotto la sua guida, furono introdotte una serie di riforme nel nome di un “socialismo dal volto umano”. Riforme che però non furono viste di buon occhio da Mosca e dagli altri regimi comunisti est-europei. La Primavera di Praga, infatti, ebbe un tragico epilogo: si concluse la notte del 20 agosto dello stesso anno, quando un corpo di spedizione dell'Unione Sovietica e degli alleati del Patto di Varsavia (ad eccezione della Romania), dopo avvertimenti, incontri ed ultimatum, invase il Paese. Gli abitanti della città opposero una resistenza non violenta, nei primi mesi Dubcek e i suoi uomini rimasero al loro posto, ma restarono anche i carri armati. Lentamente, ma inesorabilmente, si avviò un processo di "normalizzazione" che portò all’allontanamento di Dubcek e al fallimento della sua riforma.
Il socialismo di Dubcek
Dubcek, che fu il primo segretario del Partito Comunista Cecoslovacco, si fece carico delle istanze di rinnovamento che attraversavano la società cecoslovacca già dall’inizio degli anni Sessanta. Le riforme della Primavera di Praga furono un suo tentativo di concedere ulteriori diritti ai cittadini grazie ad un decentramento parziale dell'economia e alla democratizzazione. Le libertà concesse inclusero inoltre un allentamento delle restrizioni alla libertà di stampa e di movimento.
La diversa concezione di quel fallimento…
Milan Glaser è un padre gesuita di origine ceca. Il 20 agosto del 1968 aveva solo 6 anni, ma ricorda molto bene cosa accadde in quel periodo nella sua nazione. “La Primavera di Praga – racconta a Vatican News – viene concepita da chi non è ceco, in maniera diversa. Per noi il ’68 fu una devastazione morale e pubblica. Tutti speravamo nel cambiamento del regime comunista e della società in una direzione più democratica, ma questo non accadde. Il fallimento di Praga è stato un momento in cui la società e il popolo hanno definitivamente perso qualsiasi speranza nei confronti della dirigenza politica al punto che, tra la popolazione, c’era persino qualcuno che sosteneva che il fallimento fu programmato ".
…e del “volto umano del socialismo”
“Inoltre – prosegue - questa retorica del socialismo dal volto umano per noi cechi suona come il “nazismo dal volto umano”. La speranza della popolazione era un po’ affievolita e nessuno credeva in questo volto umano del socialismo”.
La vita prima e dopo la Primavera
Cosa e quanto è cambiato da allora? Per padre Glaser, non molto dal punto di vista economico. " Non eravamo un Paese povero" afferma "però era una ricchezza limitata perché l’impresa privata era vietata. A livello umano tutto era molto cupo, c’era diffidenza e sfiducia tra le persone”.
Un’eredità cancellata dai posteri
La storia sembra ormai dimenticata. Questo è uno degli aspetti più dolorosi. “È stato tutto cancellato" afferma padre MIlan Glaser: "oggi, le nuove generazioni non conoscono nemmeno il nome di Dubcek, nessuno si interessa” . Un ricordo svanito, ma non per chi l’ha vissuto. “I miei genitori – conclude - mi vietarono di uscire di casa per giocare con gli amici. Tutte le famiglie tenevano i bambini in casa. C’era una grande paura. Ricordo bene questa paura, io ero terrorizzato perchè vedevo che anche i miei genitori lo erano".
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