I profughi eritrei hanno diritto di chiedere asilo
Fabio Colagrande - Città del Vaticano
Sono perlopiù di nazionalità eritrea i cento migranti che, dalla nave Diciotti, sono giunti ieri al centro Mondo Migliore di Rocca di Papa, nei pressi di Roma. "Sono persone che hanno il diritto di richiedere la protezione internazionale, a prescindere dal fatto che nel luglio scorso sia stata firmata una tregua tra Etiopia ed Eritrea, perché nel mio Paese la pace ancora non c'è". A sostenerlo, è don Mussie Zerai, sacerdote eritreo, fondatore dell'agenzia Habesha.
Un Paese senza Costituzione
“In Eritrea molte cose non sono ancora cambiate, anche se naturalmente ci auguriamo che gli effetti della pace s’incomincino a vedere, a sentire”, spiega Zerai. “Il Paese è ancora senza una Costituzione e i diritti fondamentali non sono garantiti. Il territorio è completamente militarizzato ed è ancora vigente il servizio militare obbligatorio. I prigionieri e i giornalisti, detenuti ingiustamente, non sono stati rilasciati. La libertà di movimento è ancora limitata e ci sono arresti in violazione della libertà religiosa”.
Hanno diritto a chiedere asilo
“Permangono quindi – spiega il sacerdote eritreo – le motivazioni che spingono la popolazione a fuggire. Non basta un accordo di pace se quest’ultima non viene tradotta nella tutela dei diritti dei cittadini”. “I profughi eritrei hanno perciò diritto di chiedere la protezione internazionale, di chiedere asilo in base alle convenzioni internazionali e alla costituzione italiana”.
Francesco e i video sulle torture ai migranti
Don Zerai, commenta anche le parole di Papa Francesco – pronunciate sul volo che lo riportava a Roma da Dublino – dopo aver visto i video che documentano le torture subite dai migranti respinti e rimandati nelle mani dei trafficanti. “E’ orribile le cose che fanno agli uomini” – ha affermato Francesco - si tratta di “torture tra le più sofisticate”.
I governi stiano attenti a parlare di respingimenti
“Sono filmati che ho visto anch’io tante volte”, spiega Zerai. “Con queste parole credo che il Papa stia chiedendo ai Governi di valutare bene e stare molto attenti quando parlano di respingimenti. Quando di parla con facilità di rimandare le persone in Libia, bisogna capire nelle mani di chi le stiamo rimandando, e a che prezzo verranno trattenute lì e con quanta sofferenza. Le torture sono purtroppo il pane quotidiano per i profughi che si trovano nei centri di detenzione, nei lager, gestiti dalle milizie o dai trafficanti locali”.
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