Scontri a Tripoli: in pericolo la vita di migliaia di persone
Andrea Gangi – Città del Vaticano
Vita dei libici in grave pericolo dopo 72 ore di scontri. Lo denuncia Medici Senza Frontiere, che fa un appello ai governi europei perché riconoscano la loro responsabilità e offrano un aiuto concreto alle persone più vulnerabili. Intanto, Msf sta effettuando le prime visite mediche e sta fornendo beni di prima necessità alle persone ancora trattenute nei centri di detenzione.
I combattimenti
Gli scontri sono scoppiati domenica 26 agosto a Tripoli, la capitale, e hanno coinvolto gruppi armati rivali. I combattimenti si sono svolti nelle aree residenziali provocando un numero ancora imprecisato di vittime. Compromessa la vita di circa 8.000 rifugiati, richiedenti asilo e migranti, intrappolati e detenuti nei centri di detenzione in città. Alcuni di loro sono rimasti rinchiusi per oltre 48 ore in un'area colpita da pesanti scontri, senza avere accesso al cibo.
A rischio la vita dei rifugiati
“I recenti scontri dimostrano come la Libia non sia un luogo sicuro per migranti, rifugiati e richiedenti asilo” dichiara Ibrahim Younis, capomissione in Libia per Msf, aggiungendo che molti di essi sono fuggiti da paesi devastati dalla guerra e hanno trascorso mesi detenuti in condizioni orribili, vittime di trafficanti di esseri umani, prima di essere trasferiti in questi centri di detenzione. Msf invita i governi europei a riconoscere che la Libia non è un luogo sicuro: è necessario fare di più per aiutare le persone intrappolate nel Paese africano e occorre trovare una via d'uscita sicura e dignitosa.
“Queste persone - aggiunge Younis - non dovrebbero essere prigionieri semplicemente perché cercavano sicurezza o una vita migliore. Dovrebbero essere immediatamente rilasciati ed evacuati in un paese sicuro”.
L’impegno di Msf
Con lo scoppio degli ultimi combattimenti sono cresciuti i bisogni umanitari dentro e fuori i centri di detenzione. L'Ong Msf sta effettuando le prime visite mediche e sta fornendo cibo, acqua e supplementi nutrizionali alle persone ancora detenute. Tuttavia Msf ha un accesso ancora limitato. L'Ong è presente in Libia dal 2011 e lavora nei centri di detenzione di Tripoli dal 2016, fornendo assistenza sanitaria di base, assistenza per la salute mentale e fornitura di servizi idrici e igienico-sanitari. Msf è anche l'unica organizzazione a garantire il trasferimento negli ospedali di migranti, rifugiati e richiedenti asilo bisognosi di cure di emergenza.
La situazione dei detenuti
Secondo l’Unhcr, quasi la metà delle persone detenute nei centri di detenzione sono rifugiati provenienti da regioni in conflitto, tra cui Eritrea, Etiopia, Somalia e Sudan. Per il diritto internazionale queste persone hanno diritto alla protezione, ma le autorità libiche, i governi dei paesi sicuri e le Nazioni Unite non sono riusciti a stabilire un meccanismo efficace per prendere in carico le loro richieste di asilo. Inoltre, riporta il comunicato Msf, alcuni paesi europei hanno messo in atto politiche che impediscono ai richiedenti asilo di lasciare la Libia.
Raccolti e portati in Libia
Il comunicato Msf riferisce infine che “certe politiche impediscono alle persone di attraversare il Mediterraneo, consentendo alla guardia costiera libica, finanziata dall'Europea, di respingere le persone salvate in mare verso le coste libiche. La grande maggioranza delle persone attualmente nei centri di detenzione è stata intercettata in mare per poi essere riportata in Libia”. Tali politiche, si legge nel comunicato, hanno aggravato le già precarie condizioni di vita nei centri di detenzione di Tripoli. Negli ultimi mesi la situazione si è deteriorata a causa del limitato accesso all'acqua potabile, alle strutture igienico-sanitarie e all'assistenza sanitaria, condizioni che hanno avuto conseguenze sulla salute fisica e mentale dei detenuti.
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