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Un bambino centrafricano in un campo per sfollati Un bambino centrafricano in un campo per sfollati 

Centrafrica: un sacerdote, il lavoro salva i giovani dal finire nei gruppi armati

Dopo la denuncia di Medici Senza Frontiere, che parla dell’aggravarsi della situazione a Bambari, in Centrafrica, uno dei parroci della città, don Félicien Endjimoyo, assicura: sacerdoti e suore vogliono rimanere nonostante il pericolo sia molto alto

Giada Aquilino - Città del Vaticano

Dallo scoppio nel maggio scorso dell’ultima ondata di violenza che in Repubblica Centrafricana ha colpito Bambari, nella parte centrale del Paese, alle 40 mila persone che già vivevano all’interno dei campi per sfollati e nella periferia della città se ne sono aggiunte negli ultimi mesi altre 3 mila che hanno dovuto lasciare le loro case per fuggire dagli scontri. A testimoniarlo è Medici Senza Frontiere, che denuncia come a causa dell’insicurezza per gli attacchi di due gruppi armati si registrino feriti tra i civili, ci siano difficoltà nell’accesso ai servizi sanitari e alcuni centri supportati da Msf siano rimasti chiusi per più di una settimana, subendo attacchi e furti di medicinali.

Sacerdoti costretti ad andare in zone più sicure

Don Félicien Endjimoyo, parroco della chiesa di San Giovanni a Bambari, racconta come nei mesi scorsi, dopo la morte a fine giugno del vicario della città, mons. Firmin Gbagoua, in seguito alle ferite riportate in un attacco di un gruppo ribelle, anche i sacerdoti siano stati costretti a spostarsi “in una zona per loro più sicura: di giorno escono per andare nelle parrocchie e per svolgere il loro ministero, mentre di pomeriggio sono costretti a recarsi nelle zone più sicure. Di conseguenza, da luglio fino ad oggi le attività pastorali sono state meno intense”. Ma aggiunge come ora sia il momento di “ritornare nelle nostre parrocchie”, perché sia i sacerdoti, sia le suore nonostante il pericolo sia “molto alto” non se ne vogliono andare (Ascolta l'intervista a don Félicien Endjimoyo).

Il ritorno delle violenze

A cinque anni dallo scoppio nel 2013 del conflitto nel Paese africano per i continui scontri tra milizie Séléka e gruppi anti Balaka, che nel tempo hanno perso d’intensità, ad agire ora sono gruppi combattenti riconducibili alle medesime fazioni di allora, spiega il sacerdote: “l’Onu ha fatto tanto per far sì che i ribelli uscissero da Bambari, ma a poco a poco sono ritornati in città e sono sempre quelli, i Séléka e gli anti Balaka che si scontrano. Se la prendono con la popolazione civile, rubano, saccheggiano in cerca di cibo, creando proprio delle situazioni di guerra”. Attaccano i quartieri centrali, come anche le zone più periferiche, o quelle in cui si trovano i campi di sfollati: “a Bambari ne abbiamo cinque, la maggioranza della popolazione vive lì, mentre soltanto la minoranza abita ancora nei quartieri” della città.

Un antidoto ai combattimenti

A maggio e giugno scorsi, prosegue il parroco di San Giovanni, si è vissuta dunque “una situazione bruttissima”, “nella paura della violenza”. Tuttavia, assicura, “ci sono stati tanti incontri tra il governo e i gruppi armati e la situazione si è un po’ calmata. Ora hanno annunciato una manifestazione nazionale in occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione, il 16 ottobre. E per questo stanno mobilitando la popolazione civile e cercando di controllare i gruppi armati affinché non vengano compiuti atti di violenza, ma si faccia in modo che la manifestazione aiuti la gente a ritrovare l’equilibrio della vita normale. Proprio per questo - spiega - alcune agenzie umanitarie hanno impiegato gruppi di giovani per i lavori pubblici: in questo modo, lavorano e non hanno la possibilità di entrare nei movimenti armati. Lavorano per sistemare le strade o per costruire un monumento. In questo modo possono impegnarsi per il bene pubblico, invece di finire a rubare e a commettere violenze”.

Il viaggio di Papa Francesco

In questo quadro, non cessa - conclude don Félicien - quella speranza portata dalla visita di Papa Francesco in Centrafrica, nel novembre 2015, con un “messaggio che conduce proprio alla ricerca della pace, anche oggi”.

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05 settembre 2018, 13:53