Congo: ucciso un altro difensore dei diritti umani nel Sud Kivu
Emiliano Sinopoli - Città del Vaticano
Nuovo assassinio di un difensore dei diritti dell’uomo nel Sud del Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo . A riportarlo è un comunicato inviato all’Agenzia Fides dal Ceadho (Centro per l’Educazione, l’Animazione e la Difesa dei Diritti Umani). “I difensori dei diritti umani di Uvira e Fizi nel Sud Kivu sono sgomenti per l' efferato assassinio del loro collega Masumbuko Birindwa detto Aimable, un difensore dei diritti umani molto attivo e di grande esperienza” . Secondo il comunicato, il 21 Agosto Birindwa si era recato a Luberizi per partecipare a una riunione per il rilascio dei quattro operatori umanitari rapiti il 20 agosto nella stessa zona. Di ritorno a casa, Birindwa è stato rapito; il suo corpo è stato trovato nella boscaglia dopo 6 giorni.
Guerra e diritti umani nella Repubblica Democratica del Congo
Nonostante la guerra sia ufficialmente terminata nel 2003, la crisi umanitaria persiste nella Repubblica Democratica del Congo, alimentata da numerosi conflitti e da un costante stato di violazione dei diritti umani fondamentali nei confronti della popolazione civile. Il numero dei rifugiati interni aumenta, così come il numero delle violenze subite dalle donne e le torture, minacce ed estorsioni commesse ai danni dei civili. La zona del Paese ad essere maggiormente colpita è quella orientale, nelle province del Nord e Sud Kivu, dove il commercio delle armi e lo sfruttamento delle risorse naturali rappresentano le reali motivazioni per perpetrare lo status quo.
Difensori dei diritti umani dell’uomo nel mirino
Il Ceadho ricorda che diversi attivisti per i diritti umani “sono stati rapiti da persone non identificate, o talvolta da membri delle forze dell'ordine e di sicurezza; di alcuni si ritrovano i corpi senza vita; altri spariscono per sempre. I più fortunati sono sopravvissuti a tentativi d’omicidio rimandando però feriti gravemente”. Difensori dei diritti umani e attivisti giovanili sono finiti nel mirino delle forze di sicurezza e dei gruppi armati a causa del loro lavoro; tra questi c’erano Alex Tsongo Sikuliwako e Alphonse Kaliyamba, uccisi nel Nord Kivu.. Le minacce sono spesso anonime, inviate per telefono e tramite Sms ed i principali social network o con messaggi scritti a mano. Se le minacce non sono sufficienti a far desistere l’attivista, si passa alla violenza fisica. Le Ong di Uvira e Fizi continuano denunciare le intimidazioni e le violenze di fronte all’opinione pubblica nazionale e internazionale, ma molto spesso non vengono ascoltate. A maggio, il senato ha approvato una proposta di legge per rafforzare la protezione dei difensori dei diritti umani. Tuttavia, il documento dava una definizione limitativa dei difensori dei diritti umani. La legge avrebbe rafforzato il controllo esercitato dallo stato sulle organizzazioni per i diritti umani, minacciando di limitarne le attività. Avrebbe inoltre potuto determinare il rifiuto da parte delle autorità di riconoscere determinate organizzazioni per i diritti umani.
Il conflitto nel Congo orientale
La cronica instabilità della regione e il conflitto in corso hanno contribuito al verificarsi di gravi violazioni dei diritti umani e abusi. Nella regione di Beni, civili sono stati presi di mira e uccisi. Il 7 ottobre, uomini armati non identificati hanno ucciso 22 persone sulla strada che collega Mbau a Kamango. Nel Nord Kivu c’è stata un’impennata di rapimenti; nella città di Goma sono stati registrati almeno 100 casi. Nel Nord Kivu, nel Sud Kivu e nell’Ituri, decine di gruppi armati e le forze di sicurezza hanno continuato a compiere omicidi, stupri, estorsioni e a saccheggiare illegalmente il territorio, allo scopo di sfruttarne le risorse naturali. Il conflitto in corso tra hutu e nande nel Nord Kivu ha causato morti, sfollati e distruzione d’infrastrutture, specialmente nelle aree di Rutshuru e Lubero.
500 mila gli sfollati
Nelle province di Tanganika e Alto Katanga sono proseguiti gli episodi di violenza intercomunitaria tra twa e luba. In Tanganika, il numero degli sfollati interni ha raggiunto i 500.000. Tra gennaio e settembre, più di 5.700 congolesi sono fuggiti nello Zambia per scappare dal conflitto. Malgrado i problemi di sicurezza, le autorità hanno continuato a chiudere i Campi per sfollati situati nelle vicinanze della città di Kalemie, costringendo le persone sfollate a fare ritorno nei loro villaggi o a vivere in condizioni se possibile anche peggiori.
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