Venezuela: missionario in Colombia, c’è chi non riesce a comprare un uovo
Giada Aquilino - Città del Vaticano
“La maggior crisi migratoria che abbia avuto l’America latina nella sua storia recente”. Così il presidente colombiano Ivan Duque ha definito l’emergenza provocata dall’aggravarsi della situazione economica, sociale e politica in Venezuela, che ha generato un esodo stimato dall’Onu in quasi due milioni e mezzo di persone, con ripercussioni appunto in Colombia ma anche in Brasile, Ecuador e Perù. Secondo fonti ufficiali di Bogotá, si trovano attualmente in territorio colombiano 935.593 venezuelani, di cui 468.428 hanno uno status di migranti, 361.399 stanno realizzando pratiche per ottenerlo e 105.766 sono definiti “irregolari”.
L’accoglienza a Cúcuta
Ad occuparsi direttamente dell’accoglienza dei venezuelani che oltrepassano il confine in Colombia è la Casa de paso di Cúcuta, nel dipartimento di Norte de Santander: si tratta del locale centro per i migranti affidato da quarant’anni agli scalabriniani. A dirigerlo è padre Francesco Bortignon, da più di vent’anni missionario in Colombia. “Le statistiche ufficiali - spiega - si attengono a dati precisi che riguardano le persone che si registrano alla frontiera. Però la realtà è un’altra: la gente che assolutamente deve scappare dal Venezuela passa per cammini secondari, quindi in verità i flussi si aggirano sui 30-35 mila giornalieri, alcune volte arrivano anche a 50 mila ed altre scendono a 25 mila”. Questa la realtà a Cúcuta, ma spostandosi verso nord la situazione è “più tragica”, soprattutto nella zona di La Guajira: lì “c’è l’altro territorio di confine col Venezuela, dove le autorità - racconta padre Bortignon - stanno dichiarando l’emergenza di frontiera, perché le condizioni di vita sono molto più povere, con zone quasi desertiche, e non c’è maniera di poter far fronte a questa emergenza”. Ma non si può rimanere inerti davanti alla disperazione di tanta gente, ribadisce con fermezza il missionario scalabriniano (Ascolta l'intervista a padre Bortignon).
Il salario mensile non basta a comprare un cartone di uova
I venezuelani che arrivano in Colombia, aggiunge, “non hanno cibo, non hanno medicine, il lavoro in patria non permette loro di poter comprare un uovo al giorno, il salario di un mese non basta ad acquistare un cartone di uova. E quindi l’alimentazione per loro, per i loro figli e per le loro famiglie è inadeguata. Le malattie non vengono curate dai servizi medici ospedalieri o da altra assistenza sanitaria. E l’insicurezza - prosegue - è enorme”.
Equilibrio nell’assistenza a venezuelani e colombiani
Al di là di un supporto alimentare, medico, legale, “il problema grande a Cúcuta - evidenzia padre Bortignon - è quello di ‘inventare’ qualcosa per lavorare, per poter assicurare a queste persone qualche entrata e mandare qualche rimessa in Venezuela. Però la situazione è sempre più disperata perché - continua - il governo del Venezuela adesso vuole prendere il controllo di qualsiasi rimessa. Di fatto se la polizia incontra gente con denaro in tasca, glielo toglie”! A ciò si aggiungono i problemi legati all’accoglienza in contesti già delicati, col rischio di tensioni, così com’è successo nelle scorse settimane in Brasile. “Qui a Cúcuta abbiamo avuto qualche reazione ostile all’inizio dell’emergenza, soprattutto tra le persone in condizioni più disagiate, che si sentivano discriminate rispetto ai venezuelani che venivano aiutati. Quindi - assicura il missionario - abbiamo fatto in modo che nelle mense e nei centri di assistenza si equilibrassero gli aiuti tra locali e venezuelani. Perché anche tra i locali non ci sono entrate, non c’è lavoro. Cerchiamo quindi di mantenere e diffondere - conclude - un senso di umanità, di attenzione all’altro, di pazienza, di condivisione, nonostante le difficoltà”.
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