Arabia Saudita: Kashoggi morto nel consolato di Riad in Turchia
Paola Simonetti – Città del Vaticano
Il giornalista Jamal Kashoggi è morto all’interno del consolato di Riad in Turchia a seguito di una rissa. L’Arabia Saudita lo ammette dopo pesanti pressioni internazionali per far luce sul caso del dissidente, entrato il 2 ottobre scorso nella sede diplomatica del suo paese ad Istanbul per pratiche burocratiche personali e da lì mai più uscito. Sembrerebbe secondo un alto funzionario dell’ambasciata che Kashoggi abbia tentato la fuga e che da lì sia scaturita una violenta rissa e poi la morte. La Cia che ha ascoltato le registrazioni audio turche di quanto accaduto, afferma che non si è trattato di morte accidentale. Da chiarire, dunque, l’esatta dinamica dell'accaduto e dove sia finito il corpo. Intanto, dopo interrogatori ad almeno 15 dipendenti dell’ambasciata di Riad, sono 18 i sauditi arrestati, rimossi dai loro incarichi il generale Asiri, capo dei servizi segreti, e Saud al-Qahtani, esponente di spicco della Corte reale saudita e stretto consigliere del principe ereditario Mohammed bin Salman.
Khashoggi, giornalista scomodo
“Jamal Kashoggi è stato un esponente di spicco della linea di opposizione al potere saudita – spiega Francesco Strazzari, docente di storia del Medioriente alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa-. Si era scontrato con forza con l’uomo addetto alla propaganda estera, quello che cerca di silenziare i dissidenti”. Ma quella del giornalista saudita non sarebbe una vicenda insolita: “Kashoggi non è stato il primo dissidente che sia stato avvicinato dall’ambasciata saudita – aggiunge Strazzari – e si sia sentito messo in trappola”.
Giustizia trasparente
Il presidente degli Stati Uniti, Trump, che aveva espresso la ferma volontà di vederci chiaro, ha giudicato credibile l’ultima versione sulla morte di Kashoggi e chiesto a Riad di "fare presto giustizia in modo trasparente e in conformità con un processo equo". Amnesty International, dal canto suo, chiede un’indagine imparziale da parte delle Nazioni Unite. Ora però, l’Arabia Saudita, aggiunge Francesco Strazzari, “dovrà fare i conti con un caso gestito in maniera pessima, fra mille grossolane contraddizioni e omissioni, che certamente - conclude il docente di storia del Medioriente alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa -incideranno sui rapporti internazionali, Stati Uniti in testa, ma non solo. Ad alzare la voce potrebbero essere tutti i critici che puntano il dito contro la falsa immagine riformista del Paese, quando invece a pesare come un macigno c’è l’immane quantità di vittime del conflitto yemenita nel quale l’Arabia Saudita gioca un ruolo centrale e di cui non si parla”.
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