Kazakhstan: al via il VI Congresso dei leader religiosi ad Astana
Barbara Castelli e Roberto Piermarini - Città del Vaticano
Al Congresso, intitolato “I leader religiosi per un mondo sicuro", sarà presente il Presidente kazako, Nursultan Nazarbayev, insieme con rappresentanti di islam, cristianesimo, buddismo, ebraismo, induismo, taoismo, zoroastrismo e membri di organizzazioni religiose e civiche.
La delegazione della Chiesa cattolica
La delegazione della Chiesa cattolica è guidata dal card. Francesco Coccopalmerio, presidente emerito del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi; da mons. Khaled Akasheh, capo ufficio per la sezione dell’islam al Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso; da mons. Francis Assisi Chullikatt, nunzio apostolico in Kazakhstan; da padre Vladimír Fekete, prefetto apostolico dell’Azerbaijian; da padre Salim Daccache, presidente dell’Università Saint Joseph di Beirut e dalla prof.ssa Paola Bernardini dell’Holy Cross College di Notre Dame negli Stati Uniti.
Il contributo di leader religiosi e politici per superare estremismo e terrorismo
All'evento parteciperanno anche, tra gli altri, il Presidente serbo Aleksandar Vucic e il Segretario generale dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, Thomas Greminger. Una delle quattro sezioni dei lavori sarà dedicata al contributo che i leader religiosi e politici sono chiamati a offrire per superare l'estremismo e il terrorismo". Interviene al Congresso anche Salvatore Martinez, presidente della Fondazione vaticana “Centro internazionale Famiglia di Nazareth”, nella veste di Rappresentante personale della Presidenza italiana in esercizio Osce 2018 con delega alla “Lotta al Razzismo, Xenofobia, Intolleranza e Discriminazione dei Cristiani e di Membri di altre religioni”.
Dare risposte per fermane nel mondo la violenza e l’odio
Il Congresso dei Leader delle Religioni tradizionali e mondiali è attualmente la più grande piattaforma di dialogo del mondo. Convoca i principali esponenti di credi religiosi, del mondo politico, oltre che scienziati e rappresentanti delle Organizzazioni internazionali, per trovare soluzioni risolutive riguardo alle questioni più urgenti in ambito religioso e politico, tra cui il terrorismo e gli estremismi religiosi. Un impegno al dialogo e alla cooperazione dell’intera comunità internazionale, rappresentata dai più importanti leader delle religioni mondiali e tradizionali, in risposta a uno degli interrogativi più urgenti del nostro tempo: fermare la violenza e l'odio.
Il primo Congresso nel 2003, all'epoca epicentro di conflitti etnico-religiosi
Il Primo Congresso delle religioni mondiali e nazionali tradizionali fu convocato dal Presidente Nazarbaiev ad Astana il 23 e 24 settembre 2003. In quell'occasione, delegati di alto livello inviati da 17 realtà e istituzioni religiose e confessionali di tutto il mondo sedettero alla grande tavola rotonda nella sala del Saltanat Saraiy, il palazzo delle cerimonie, per “rilanciare” le parole d’ordine del dialogo e della libertà religiosa dal cuore dell’Eurasia, cioè vicino all’Afghanistan, al Pakistan, all’Iraq, all’Azerbaigian, in quell’area centroasiatica che per i teorici dello 'scontro fra civiltà' rappresentava l’epicentro di tutti i conflitti di matrice etnico-religiosa che inquietano il mondo globalizzato.
Un Congresso sul modello della Giornata di preghiera per la pace di Assisi
Quel Congresso, fin dalle dichiarazioni programmatiche degli organizzatori, aveva come modello la Giornata di preghiera per la pace nel mondo convocata ad Assisi da Giovanni Paolo II il 24 gennaio 2002, per riaffermare il contributo positivo delle diverse tradizioni religiose al dialogo e alla concordia tra popoli e nazioni. Anche la due giorni di Astana aveva l'intento di confutare il clima mentale post-11 settembre, che individuava nel fattore religioso il carburante a basso costo dei nuovi conflitti geopolitici. Già in quell'occasione, la Santa Sede fu rappresentata al forum interreligioso di Astana da una delegazione di alto livello, guidata dal card. Jozef Tomko, che è stato Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli dal 1985 al 2001, e a quel tempo era presidente del Pontificio Comitato per i Congressi eucaristici internazionali.
Sull’appuntamento abbiamo raggiunto telefonicamente ad Astana, in Kazakistan, Salvatore Martinez, presidente della fondazione vaticana “Centro internazionale Famiglia di Nazareth”.
R. – La cultura del dialogo, o dell’incontro, come ama definirla Papa Francesco, ha bisogno di esperienze che diventino tradizione, come quella che si rinnova ogni tre anni in Kazakhstan e ad Astana.
Cosa è emerso dalle prime battute? Qual è il clima che si respira?
R. – Bisogna applaudire all’iniziativa del presidente della Repubblica kazhako, perché intuisce e perfeziona un grande bisogno che, direi, è bilaterale. In primo luogo, dei capi religiosi di stabilire relazioni di prossimità più forti e più strette in un tempo nel quale le religioni stesse sono sfidate: il grande tema dell’esclusione di Dio dalle società moderne e plurisecolari sta investendo in modo significativo le religioni, che non devono semplicemente ritrovare la capacità di essere credibili in questo tempo, soprattutto laddove estremismi o riduzioni di senso le confinano in modo drammatico. C’è la questione dell’interesse delle nuove generazioni, sempre meno attratte dall’elemento sacro, dall’elemento religioso e dalle tradizioni che le religioni rappresentano. E questa dimensione dello stare insieme, del ritrovarsi, del dialogare ha un grande vantaggio, perché le religioni monoteiste, le grandi tradizioni religiose hanno bisogno di ribadire in modo unitario il valore imprescindibile per le nostre società – pensiamo soprattutto all’Europa e all’Euroasia – dell’elemento religioso. Tutte queste cose sembrano emergere nel dibattito che si è avviato questa mattina nella sessione plenaria: si respira, ovviamente, un clima disteso, di amicizia, di cordialità.
In concreto, a suo avviso, come è possibile promuovere un dialogo che sia vissuto e non solo superficiale, relegato ai grandi incontri?
R. – Ecco, questa è la grande sfida: rendere ordinario ciò che sembra essere straordinario. Al di là di questi grandi eventi, una cultura di pace, una cultura di sicurezza va costruita. In primo luogo – e questo è emerso – con una discontinuità generazionale: dicevo che i giovani non sembrano essere attratti e mostrano anche ignoranza rispetto alla grande tradizione religiosa che caratterizza la maggior parte delle nostre società, che sono innervate di questi elementi spirituali. La crisi è spirituale e, quindi, il primo grande tema è l’esperienza di Dio: in che modo si fa esperienza di Dio e non lo si giudica, magari, il responsabile dei grandi conflitti, delle violenze e di tutti gli estremismi che poi questo nostro tempo vive. C’è dunque il tema della credibilità delle religioni a partire dall’assunto fondamentale: come si fa esperienza di Dio? Come si fa esperienza di fede? Come si può apprezzare il valore delle religioni? Le religioni sono per la pace, e le vere fedi non costruiscono se non la pace. E dunque questo deve avvenire non soltanto con conferenze come questa, ma con percorsi comuni. Pensiamo soprattutto ai grandi temi sociali e alle grandi sfide educative di questo nostro tempo. Questo è un terreno sensibile, un terreno sul quale queste amicizie, queste forme di dialogo possono essere applicate attraverso le comunità, attraverso le diverse organizzazioni, tutte quelle realtà fatte prevalentemente da laici e dunque dalla società civile, che sentono il bisogno di una discontinuità forte su questi temi che sembrano essere sempre più ideologizzati.
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