Paolo Benanti: le intelligenze artificiali siano a servizio del vero sviluppo
Barbara Castelli – Città del Vaticano
Le nuove tecnologie non si limitano “ad accelerare semplicemente quanto già esisteva: la diffusione e la pervasività delle intelligenze artificiali hanno la capacità di cambiare completamente la relazione tra l’uomo e la macchina” e hanno anche la capacità di mutare “completamente alcuni ambiti del nostro vivere”. Con queste parole Paolo Benanti, docente della Pontificia Università Gregoriana, presenta ai microfoni di Vatican News il suo ultimo libro: “Le Macchine sapienti. Intelligenze artificiali e decisioni umane”, Marietti Editore. Lo sviluppo e la diffusione delle intelligenze artificiali, infatti, sollevano nuovi problemi di natura etica e l’autore, noto a livello internazionale nell’ambito della bioetica e del dibattito sul rapporto tra teologia, bioingegneria e neuroscienze, guarda con favore alla diffusione delle “macchine sapienti”, insistendo sul fatto che i processi innovativi hanno valenza positiva solo se orientati a un progresso autenticamente umano. (Ascolta l'intervista a Paolo Benanti sul libro "Le Macchine sapienti").
Essere prudenti, senza visioni apocalittiche
Nel corso dell’intervista, il francescano sottolinea che “bisogna evitare di essere apocalittici”, senza, tuttavia, cedere all’illusione che “tutto questo non cambierà nulla”. La strada giusta è la prudenza: guardare con attenzione a “quello che sta succedendo”, per poi chiedersi se questa è “la direzione verso cui vogliamo far procedere lo sviluppo”. “Il vero punto – aggiunge – è il fatto che questi sistemi di intelligenza artificiale possono farci pensare che sono in grado di surrogare alcune azioni umane”.
Intelligenza artificiale e urgenze etiche
Pensando alle sfide etiche in questo orizzonte, Paolo Benanti precisa che “bisogna anzitutto aprire le scatole chiuse”. Queste macchine, infatti, “funzionano con algoritmi, con un software scritto dagli uomini, che non è – come nei casi precedenti – una semplice catena logica, ma sono software che di fatto sono pensati per essere addestrati”. E alcuni studi dimostrano già “che questi software possono o importare i pregiudizi di chi li ha scritti o svilupparne di nuovi, a seconda dei dati su cui li applichiamo”. “E’ chiaro che un software di intelligenza artificiale che fa milioni di decisioni – precisa – è in grado di produrre delle ingiustizie con fattori di scala enormi”. E, quindi, “noi potremmo avere delle società meno giuste e paradossalmente meno trasparenti nell’accesso a quelli che sono i fattori di questa ingiustizia”. Gli ambiti di applicazione, come si può facilmente immaginare, sono infiniti.
Verso una governance delle intelligenze artificiali
Nelle oltre 150 pagine del libro, l’autore auspica, in modo particolare, una “governance delle intelligenze artificiali”. In questo momento sono due i grandi modelli di sviluppo di questi sistemi: quello americano e quello cinese. Secondo Paolo Benanti, è importante “tornare a quella che è la radice del nostro modo di essere Europa ed essere Occidente, cioè la piazza: la piazza attorno a cui nasceva la polis, il luogo dove le diverse competenze si confrontano cercando di codificare quello che sta accadendo e dandosi dei regolamenti per indirizzarlo verso quello che capiscono essere il bene comune”. “La governance delle intelligenze artificiali – conclude – significa creare questi contesti in cui lo sviluppo, come dicono i documenti del magistero papale, possa diventare reale progresso, dove si possa fare attenzione, per parafrasare Papa Francesco, a quella ecologia integrale, a quella complessità sociale che riguarda le relazioni degli uomini, soprattutto non schiacciando i deboli e gli ultimi”.
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