Oxfam, sfruttamento del lavoro endemico nella filiera alimentare
Giordano Contu – Città del Vaticano
Donne sfruttate e braccianti agricoli che lavorano anche 15 ore al giorno per meno di cinque euro l’ora. Sono alcuni dei problemi individuati da Oxfam, l’organizzazione non profit dedita alla lotta contro la povertà, riguardo la produzione dei beni in vendita nei supermercati. Per questo ha lanciato la campagna ‘Al giusto prezzo’. L’obiettivo è sensibilizzare sullo sfruttamento del lavoro.
Le principali ingiustizie
Le maggiori violazioni dei diritti umani avvengono in genere nelle campagne. “Sono in realtà un fattore endemico dell’agricoltura italiana”, dichiara Giorgia Ceccarelli, curatrice dell’indagine. Nel percorso che un prodotto compie dal campo coltivato alla tavola sono “i supermercati” ad avere il potere di cambiare le cose. Questi, infatti, secondo lo studio di Oxfam, “controllano il 75 per cento del cibo e delle bevande consumante in Italia”. “Con le loro politiche commerciali possono effettivamente influenzare il prezzo” pagato ai fornitori. Quando questo è “troppo basso” c’è molta più probabilità che possa avere “ricadute negative sui lavoratori”, in particolare “sui braccianti che sono l’ultimo anello della filiera”. Gli studiosi hanno sottolineato che fra i cinque maggiori gruppi di distribuzione alimentare risulta che la maggior parte di essi non ha inserito “la tutela dei diritti” fra i criteri di contrattazione e negoziazione con i rifornitori. Rimane dunque alto il rischio di sfruttamento di uomini, soprattutto migranti, e donne. Queste ultime “guadagnano, per lo stesso lavoro, fino al 20 per cento in meno rispetto agli uomini. Vivono anche in condizioni di abuso e vessazioni”, spiega Ceccarelli (Ascolta l'intervista a Giorgia Ceccarelli).
Cosa può fare il cittadino
Oxfam vuole sensibilizzare i consumatori e spingerli a chiedersi cosa ci sia dietro i prodotti esposti sugli scaffali. Occorre “superare la scelta basata sul prezzo e pretendere che ci siano prodotti liberi dallo sfruttamento”, dice la curatrice dello studio. “Il modello italiano - conclude - non sta ancora mettendo i diritti al centro delle sue operazioni economiche”.
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