Il futuro del carcere? Luogo di opportunità per un reale reinserimento
Davide Dionisi – Città del Vaticano
Valorizzare il tempo del carcere quale tempo di espiazione e di riscatto; collegare realtà carceraria e società civile, puntare su itinerari formativi per un opportuno reinserimento. Sono questi i temi principali affrontati ieri nel corso della giornata di studio promossa dalla Lumsa intitolata “Carcere: tra presente e futuro”.
Nel 70° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, il Dipartimento di Giurisprudenza, Economia, Politica e Lingue moderne dell’ateneo ha voluto aprire un tavolo di confronto (il primo del genere), che ha l’obiettivo di favorire momenti di studio e di riflessione multidisciplinare sul carcere con l’obiettivo di avviare una sinergia tra diverse competenze.
Tre panel per sottolineare che il futuro del sistema penitenziario, ad un mese dall’entrata in vigore dei decreti legislativi sulla riforma dell’ordinamento, deve guardare al carcere non più come ad un luogo di sola detenzione, ma come ad un organismo che deve fornire a tutti la possibilità di acquisire nuove competenze, educative e formative, per un reinserimento nella società al termine della pena.
Ma come facilitare tale processo? Secondo Giacinto Siciliano, Direttore della casa circondariale di Milano San Vittore, “E’ fondamentale utilizzare il tempo della detenzione nel miglior modo possibile”.
Nel dibattito è emersa la necessità di evitare che il sistema carcerario diventi una sorta di imbuto nel quale far confluire tutte le contraddizioni sociali, politiche e amministrative che stanno fuori dal carcere. Anche perché dai problemi che attraversano il sistema, dal modo di affrontarli o dal loro degenerare, si giocano i destini del nostro sistema democratico
Secondo Rosella Santoro, Direttrice della Casa Circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso: “E’ necessario implementare le attività lavorative e i percorsi formativi. Sicurezza e trattamento rieducativo costituiscono un circolo virtuoso e devono accompagnare il detenuto”.
La rieducazione non è un astratto percorso comportamentale, bensì una crescente consapevolezza del danno individuale e sociale del proprio comportamento. Una consapevolezza che deve maturare attraverso un’offerta sempre più ampia e qualificata di opportunità. Ne è convinto Pierpaolo D’Andria, direttore della Casa Circondariale di Viterbo-Mammagialla.
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