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Sahel: a Parigi G5 sul piano di investimenti

A Parigi i leader politici di Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger riuniti con Francia e Italia. Sul tavolo un piano d'investimenti fino al 2021 che vede l’Europa impegnata con oltre un miliardo di euro

Giordano Contu - Città del Vaticano 

I capi politici africani ed europei si sono incontrati oggi in un vertice all’Assemblea nazionale di Parigi per concretizzare il piano di investimenti in Sahel per il triennio 2019-2021. L’obbiettivo è favorire lo sviluppo, con la costruzione di scuole e pozzi d’acqua, e la sicurezza, soprattutto per contrastare il terrorismo. L’Unione Europea ha promesso fondi per oltre 800 milioni di euro. La Francia, in particolare, ha detto che investirà oltre 500 milioni.

Il contrasto dello jihadismo

La coalizione di cinque Stati è stata costituita nel 2014 per preservare la regione di fronte all’ondata terroristica del fondamentalismo islamico. In quest’area, infatti, lo jihadismo sopravvive e in alcuni Paesi come Mali, Niger e Burkina Faso, è tornato a controllare ampi territori. “È una sfida molto importante che richiede molti mezzi finanziari e politici internazionali”. A dirlo è il sociologo Luciano Ardesi, segretario nazionale della Lega per i diritti e la liberazione dei popoli e presidente dell’associazione nazionale Solidarietà col Popolo Saharawi. Fino adesso si è affrontato il problema “in modo assai parziale” spiega. “Al gruppo G5 Sahel mancano i mezzi economici che sono stati promessi, ma che sono lungi dall’essere operativi sul terreno”.

Controllare i flussi migratori

L’Italia è impegnata direttamente nel summit di Parigi. Dal Sahel provengono infatti le principali minacce alla sicurezza per i Paesi circostanti e per il Nord Africa. “L’interesse di Roma è legato al fatto che la destabilizzazione della regione provoca riflessi immediati a lunga distanza”, continua Ardesi. “I movimenti della popolazione, delle masse di rifugiati che si spostano dalle zone di guerra o minacciate dal terrorismo, verso il Mediterraneo, costituiscono potenziali forze di emigrazione”. La sfida più difficile resta quella della democrazia, soprattutto dei diritti umani e della fiducia nelle istituzioni.

Ascolta l'intervista a Luciano Ardesi

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13 dicembre 2018, 13:55