Centrafrica. Suor Tutolo premiata da Mattarella: "Grazie. Il mio, un piccolo gesto"
Antonella Palermo – Città del Vaticano
Sono stati 33 gli ‘eroi’ insigniti del titolo di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana. Tra loro, Suor Elvira Tutolo - 69 anni, molisana di origine, missionaria della Congregazione delle suore della carità di santa Giovanna Antida - premiata “per il suo impegno in ambito internazionale nella difesa e recupero dei bambini e ragazzi di strada”. Ascoltiamo la sua reazione da Berberati, in Repubblica Centrafrica, dove è in missione, ai microfoni di Radio Vaticana Italia.
R. - E’ stata una sorpresa. Ero in ospedale – sto bene ma normalmente qualche crisi per la malaria arriva – avevo il telefono spento. Tornando a casa ho appreso la notizia. Sono molto grata, non so quale sia stato l’iter per arrivare a questa scelta, la vedo comunque come una carezza di Dio e degli uomini. E’ un incoraggiamento perché qualche volta viene la tentazione di mettere i remi in barca, invece ci sono segnali come questo che ce lo impediscono.
Lei si sente un eroe?
R. - Cosa vuol dire eroe? Vuol dire anche santo, persona normale… E’ tutto normale quello che è successo. Se eroe significa accorgersi, stupirsi – io mi stupisco di me stessa, della mia fragilità che viene riconosciuta – che è qualcun Altro che si serve di noi per raggiungere gli uomini e le donne, allora è bello. E’ bello che altri riconoscano, perché in fondo il nostro peccato più grave è di non riconoscere i doni che ci vengono fatti. Noi pecchiamo di mancanza di memoria.
Di cosa sente di dover ringraziare di più per il 2018 trascorso?
R. - Del dono che ho ogni giorno dei più piccoli e di coloro che soffrono di più. Il dono delle mie consorelle. Io sono a Berberati da cinque anni e siamo in due; se non ci fosse stata la mia consorella, cosa mai avrei potuto fare? E poi tutti i miei collaboratori… E’ vero, ci sono tanti problemi, la situazione qui non cambia, non migliora, secondo le ultime statistiche siamo il Paese più povero del mondo. Eppure io ho ricevuto tanto: la salute, di essere qui.
Cosa significa vivere a Berberati?
R. - Significa sopportare che non c’è l’acqua, non c’è la luce. Significa credere nei piccoli gesti. Nel centro agricolo che gestiamo ci sono 25 ragazzi che sono stati tolti dalla strada, dal carcere, che hanno voglia di vivere, gridano alla vita, alla speranza. La nostra presenza di sostegno - senza presunzione - nonostante la condizione di depressione, di non visibilità di una strada, serve almeno a tenere accesa una candela, a fare un passo. La difficoltà sta proprio nel credere in questo passo e nel valore di un passo alla volta.
Secondo le valutazioni che è riuscita a maturare in questi anni di permanenza in Centrafrica, quale è la radice profonda della miseria di questa area?
R. - Devo dirlo in tutta franchezza. Noi siamo una ex colonia francese. Come è possibile che in sessant’anni non è stata realizzata mai una vera politica di sviluppo del Paese? Ci sentiamo depredati, spogliati. Una volta mi hanno aggredito e spogliata sulla strada: ecco, provo la stessa sensazione di nudità per il Paese intero. Sono un po’ arrabbiata, scusate…
Qual è il suo quotidiano?
R. - Da due anni a questa parte i ragazzini sono stati liberati dai gruppi armati nella nostra regione. Una volta – a questo proposito – mi hanno chiamato dall’Unicef chiedendomi se fossi contenta della cosa e se i ragazzi potevano ritornare nelle loro case… Risposi loro che erano ragazzi ormai senza una casa, perché prelevati in condizioni estreme dalla strada… Noi allora ci facciamo carico di questi ragazzi e ragazze – che purtroppo hanno anche ucciso per vendicare i loro familiari, sono delle ferite impossibili da guarire totalmente – e cerchiamo di accogliere e di ricostruire poco a poco il cuore, la personalità e la testa di minori feriti al massimo. Ho trovato uno psicologo che presta loro un ascolto professionale e non giudicante. Per le ragazze abbiamo un centro di formazione. Sono analfabeti e quindi li avviamo all’istruzione e aiutiamo a rileggere il loro passato. Poi imparano a cucire e ricamare. Quando commissioniamo qualche lavoretto di questo genere, le paghiamo. Ci sono ora una ventina di ragazze che in questo modo non si danno più alla prostituzione. Per i maschi, in numero maggiore, abbiamo un centro agricolo, si chiama “Aiutami a crescere”: là c’è la falegnameria, si impara la meccanica. Alla fine della formazione ciascuno di loro avrà due ettari di terra e potrà così continuare a rendersi autonomo. Ma il lavoro più grande resta quello di superamento dei traumi: ricordo che le prime volte saltavano dal letto per il violento ricordo di ciò che avevano vissuto. Piano piano recuperano il sorriso.
L’augurio per il nuovo anno…
R. - L’auspicio è che si faccia davvero una svolta, il Signore ci aiuterà. Svolta politica, sociale, economica e anche religiosa. La settimana scorsa, per esempio, un’altra chiesa è stata incendiata… parlano di un corto circuito, bisognerà vedere quale sia la verità. Il problema è che la Chiesa sta pagando un grosso prezzo. Speriamo in un cammino di pace che venga però dalla giustizia. La Corte penale faccia il proprio dovere.
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