Mediterraneo, stragi di migranti: 170 morti. Don Zerai: scappano da fame e guerre
Giada Aquilino - Città del Vaticano
La preghiera del Papa all'Angelus e il dolore del presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, sono per le 170 vittime dei due distinti naufragi avvenuti in poche ore nel Mediterraneo. L'ultima tragedia in ordine di tempo si è verificata venerdì mattina, quando le autorità libiche hanno avvistato un gommone in difficoltà con un gruppo di migranti a bordo a nord di Garabulli.
Tra le 117 vittime, anche donne e un bimbo di due mesi
La Guardia costiera di Tripoli, che aveva stimato in 50 il numero di persone a bordo, ha prima inviato una motovedetta, poi costretta a tornare indietro per avaria, quindi ha allertato un mercantile battente bandiera liberiana per soccorrere il natante. Nel frattempo, il gommone è stato avvistato anche dall'Aeronautica militare italiana e poco più tardi un elicottero della Marina militare ha ricuperato i tre superstiti del naufragio, trasferendoli a Lampedusa. Sono stati loro, riferisce l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), a rivelare che su quel gommone erano in 120, tra cui 10 donne e anche un bimbo di due mesi. Su quanto accaduto indagano la procura militare di Roma e quella ordinaria di Agrigento.
L’altro naufragio
Un altro naufragio era avvenuto qualche ora prima ed è costato la vita a 53 migranti che tentavano di raggiungere l'Europa sulla rotta nel Mediterraneo occidentale, in direzione della Spagna. Un sopravvissuto, riferisce l'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), è stato soccorso da un peschereccio e sta ricevendo le cure mediche in Marocco.
La testimonianza: don Mussie Zerai
Mentre la Comunità di sant’Egidio lancia un appello all’Europa affinché intervenga subito, nell’intervista a Vatican News don Mussie Zerai, presidente dell’Agenzia Habeshia per la cooperazione allo sviluppo, esorta la comunità internazionale a non dimenticare che i migranti che affrontano i viaggi della disperazione in mare sono persone che fuggono da situazioni di estrema disperazione (Ascolta l'intervista a don Zerai).
R. - Sono persone che fuggono dalla dittatura o da continui conflitti latenti oppure c’è anche chi fugge dalla fame: nessuno ne parla, ma la carestia che ha colpito tutta l’Africa subsahariana, che va dallo Yemen fino alla Nigeria, ha fatto sì che ci siano persone che non hanno di chi vivere, quindi la loro diventa una fuga per la vita. Nessuno poi va ad affrontare i problemi alla radice nel Paesi di origine di queste persone, per cercare di garantire loro una vita dignitosa a casa o vicino a casa, perché queste persone quando fuggono vanno prima nei Paesi vicini, ma a volte anche lì trovano situazioni peggiori di quelle che hanno lasciato. E così sono costretti a continuare la ricerca di un luogo sicuro. Nessuno si preoccupa di sostenerli, di aiutarli a crearsi una vita di pace, dignitosa senza dover continuare a scappare, senza dover essere costretti dalla disperazione ad affidarsi anche ai trafficanti. La risposta non è chiusure di porti, muri, filo spinato: la risposta è che bisogna andare nei Paesi d’origine e pacificare là dove c’è da pacificare. Guardiamo alla Somalia, con attentati ogni giorno; all’Eritrea, con il servizio militare a tempo indeterminato che ha reso i giovani schiavi; alla Libia, dove nel caos le milizie sequestrano, arrestano, facendo spesso anche il doppio gioco: da una parte ricevono gli aiuti europei per bloccare il flusso in uscita ma poi loro stesse vendono queste persone ai trafficanti che poi le mettono sulle cosiddette “carrette del mare”.
Si moltiplicano gli appelli all’Europa a intervenire, ma pure a placare le polemiche anche nei riguardi delle persone già salvate in mare, per le quali si dibatte su dove accoglierle. Qual è l’appello all’Europa?
R. - Prima di tutto, a non perdere il senso di umanità, il senso di solidarietà. Ci sono state per quasi 20 giorni 49 persone per le quali l’Europa non è riuscita a dare una risposta rapida, costringendole a stare al freddo e al gelo per tutto quel tempo, sotto le festività natalizie: questa è la dimostrazione della fragilità, della paura che sta paralizzando il mondo politico europeo, che non è capace di dare risposte basate sulla giustizia, sulla solidarietà, sulla garanzia della libertà. Perché queste persone vengono a cercare libertà!
E’ costante il pensiero del Papa all’Angelus, nei discorsi e negli incontri ufficiali, nei documenti: il più recente, per esempio, è quello della Sezione migranti e rifugiati del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale sugli orientamenti pastorali riguardo alla tratta di persone. Come fare proprie le parole del Papa?
R. - Traducendo nella quotidianità questi appelli, questi insegnamenti, questi richiami del Papa, facendo della solidarietà la pratica quotidiana. Come spiegato, c’è il bisogno che tutta la comunità europea vada alla radice del problema nei Paesi d’origine di queste persone; punti ad ottenere condizioni migliori e dignitose anche nei Paesi vicini, facendo accedere i bambini alle scuole, all’assistenza sanitaria, a tutta una serie di servizi che faciliterebbero e migliorerebbero la loro vita in queste zone; poi apra canali legali, che vuol dire programmi di reinsediamento per quelle persone ritenute vulnerabili, bisognose di protezione internazionale. Quindi aprire corridoi umanitari, aprire le ambasciate che possono rilasciare i visti: tutta una serie di canali legali che permettano alle persone di viaggiare in sicurezza, in condizioni dignitose, senza rischiare la vita e senza finanziare i trafficanti.
Ancora un allarme
Un altro barcone con 100 persone a bordo è stato segnalato da Alarm Phone, il sistema di allerta telefonico utilizzato per segnalare imbarcazioni in difficoltà, a 60 miglia al largo delle coste di Misurata, in Libia. Il natante starebbe ora imbarcando acqua. A bordo, secondo quanto segnalato, potrebbero esserci anche persone senza vita.
(Ultimo aggiornamento: domenica 20 gennaio 2019, ore:15:19)
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