Il 2019 anno Onu delle lingue indigene. Le parole del Papa a difesa dei nativi
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
L’Onu ha proclamato il 2019 Anno Internazionale delle Lingue Indigene, perché “le lingue – si legge sul portale delle Nazioni Unite - sono essenziali negli ambiti della tutela dei diritti umani, della costruzione della pace e dello sviluppo sostenibile, garantendo diversità culturale e dialogo interculturale. Tuttavia, a prescindere dal loro immenso valore, in tutto il mondo, le lingue continuano a scomparire ad un ritmo allarmante, a causa di diversi fattori. La maggior parte di queste sono lingue indigene”.
L'Onu: le lingue scompaiono a ritmo allarmante
Impegno speciale in questo 2019 per l’Onu, sarà quindi quello di preservare le lingue indigene, che sono la stragrande maggioranza delle 6700 lingue parlate nel mondo, come patrimonio inestimabile, e per far questo tutelerà i diritti e il benessere di chi è in grado di tenerli in vita, cioè le popolazioni native. Già nel 1994 l’assemblea generale delle Nazioni Unite aveva proclamato il 9 agosto Giornata mondiale dei popoli indigeni, con l’obiettivo di celebrare la loro diversità e gettare luce sulle violazioni e sulle ingiustizie che continuano a subire dopo secoli di colonizzazioni e genocidi.
Lingue parlate da 570 milioni di persone, e molti poveri
Infatti gli indigeni costituiscono il 5 per cento della popolazione mondiale, 570 milioni di persone divise tra 5mila popoli presenti in 90 paesi, ma il 15 per cento delle persone più povere. Sono tra i gruppi più vulnerabili e meno tutelati al mondo. Anche per questo nel 2007 l’Onu ha adottato la Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni, che sancisce il loro diritto all’autodeterminazione, ad essere liberi da ogni tipo di discriminazione, in particolare nell’esercizio delle loro usanze e nell’espressione della loro identità.
A rischio entro il 2100 tra il 50 e il 90 per cento delle lingue
E’ la lingua che parliamo che definisce chi siamo, il nostro modo di intendere e relazionarci con il mondo. Si stima che, con la crescita del numero di persone che parlano solo le lingue dominanti, come l’inglese, il cinese e lo spagnolo, a discapito della diffusione di quelle meno conosciute, entro la fine di questo secolo potrebbero sparire tra il 50 e il 90 per cento delle lingue del mondo.
Il Papa: salvare le culture anche prima delle specie animali
Nella lettera enciclica Laudato sì del 2015, sulla tutela del Creato, al paragrafo 145, Papa Francesco scrive che “la scomparsa di una cultura può essere grave come o più della scomparsa di una specie animale o vegetale”. E nel paragrafo successivo aggiunge: “In questo senso, è indispensabile prestare speciale attenzione alle comunità aborigene con le loro tradizioni culturali”.
L'incontro con i popoli dell'Amazzonia nel 2018 in Perù
Parole ricordate in Perù, a Puerto Maldonado, il 19 gennaio del 2018, nell’incontro con i popoli dell’Amazzonia, aperto da una testimonianza di una coppia di indigeni. “Vogliamo - scandiscono - che i nostri figli studino, ma non vogliamo che la scuola cancelli le nostre tradizioni, le nostre lingue, non vogliamo dimenticarci della nostra saggezza ancestrale!”. Francesco cita queste parole nel suo discorso aperto con l’elenco delle etnie presenti, dagli Harakbut ai Wampis, e aggiunge: “l’unico modo per far sì che le culture non si perdano è che si mantengano in dinamismo, in costante movimento”.
Ai vescovi: promuovere educazione interculturale e bilingue
Quindi si rivolge ai fratelli vescovi dell’Amazzonia, che ad ottobre saranno protagonisti del primo Sinodo dedicato a quel continente nel continente americano. “Chiedo che, come si sta facendo anche nei luoghi più isolati della selva, continuino a promuovere spazi di educazione interculturale e bilingue nelle scuole e negli istituti pedagogici e universitari”. E si congratula per le iniziative della Chiesa peruviana dell’Amazzonia per la promozione dei popoli originari: “Scuole, residenze per studenti, centri di ricerca e di promozione come il Centro Culturale José Pío Aza, il CAAAP e il CETA, nuovi e importanti spazi universitari interculturali come NOPOKI, diretti espressamente alla formazione dei giovani delle differenti etnie della nostra Amazzonia”.
La 'Laudato sì' letta in lingua indigena
Poco prima, il Papa aveva chiesto alle autorità politiche ed ecclesiastiche degli Stati amazzonici di “compiere sforzi per dar vita a spazi istituzionali di rispetto, riconoscimento e dialogo con i popoli nativi; assumendo e riscattando cultura, lingua, tradizioni, diritti e spiritualità che sono loro propri”. E riferendosi alla Chiesa locale, il Pontefice conclude sottolineando che “abbiamo bisogno che i popoli originari plasmino culturalmente le Chiese locali amazzoniche”. Ricorda di aver ascoltato con gioia “che uno dei brani della Laudato si’ è stato letto da un diacono permanente della vostra cultura. Aiutate i vostri Vescovi, aiutate i vostri missionari e le vostre missionarie affinché si uniscano a voi, e in questo modo, dialogando con tutti, possano plasmare una Chiesa con un volto Amazzonico e una Chiesa con un volto indigeno”.
Padre Bossi: una lingua è un canale di incontro con Dio
Temi che saranno al centro del Sinodo di ottobre: la prima riunione nel consiglio pre-sinodale si è svolta proprio nel pomeriggio del 19 gennaio, sempre a Puerto Maldonado. Abbiamo chiesto una testimonianza su questa iniziativa Onu a difesa dei popoli indigeni a padre Dario Bossi, missionario comboniano in Amazzonia e tra i coordinatori della rete latinoamericana Iglesias y Mineria. “Una lingua è una cultura – dice a Vatican News padre Bossi, 46 anni, padovano, da 12 nello stato brasiliano del Maranhão - è una visione del mondo, è un canale di incontro con Dio, è riserva di conoscenze tradizionali ed è anche espressione di una profonda integrazione con la natura, con l’ambiente, specialmente tra i popoli indigeni, che possiamo considerare tra i gruppi più vulnerabili oggi al mondo”.
In Amazzonia, 390 popoli e 240 idiomi vivi
In Amazzonia, ricorda il missionario comboniano, “esistono tre milioni di persone indigene, 390 popoli e, ancora, 240 idiomi vivi. In varie parti dell’America Latina i popoli indigeni sono minacciati, specialmente oggi in Brasile, in Cile, in Argentina”. E sottolinea la “forte sensibilità” di Papa Francesco per i popoli indigeni, citando gli incontri di Puerto Maldonado ma anche quello di due giorni prima, il 17 gennaio, a Temuco, in Cile, con i Mapuche, “uno dei popoli che più soffre per la violenza e la privazione dei diritti umani”. “Nello stato messicano del Chapas, nel 2016 – ricorda ancora padre Dario - Francesco ha chiesto perdono ed ha ufficializzato la Bibbia tradotta in tre delle lingue indigene locali del Chapas”. La lingua è una sfida all’inculturazione, conclude il missionario, e “la Chiesa ha urgente bisogno di inculturarsi e di entrare in dialogo con le culture indigene. Questa sarà la sfida del Sinodo speciale per l’Amazzonia previsto a ottobre di quest’anno”.
In Cile, sempre nel 2018, l'abbraccio ai Mapuche
Ai Mapuche, che sono più di due milioni, divisi tra il sud del Cile e l’Argentina, ma anche agli altri popoli, come ai Rapanui, dell’Isola di Pasqua, i Quechua e Aymara, e tanti altri, il Pontefice argentino spiega che “l’unità non è un simulacro né di integrazione forzata né di emarginazione armonizzatrice. La ricchezza di una terra nasce proprio dal fatto che ogni componente sappia condividere la propria sapienza con le altre”.
L'incontro a Lima con i vescovi peruviani
E a Lima, nella tappa peruviana del viaggio, il 21 gennaio 2018, ai vescovi locali parla dell’evangelizzazione delle popolazioni indigene e dei catechismi tradotti nelle lingue native quechua e aymara. “E’ necessario – dice - imparare a parlare il linguaggio degli altri: solo così il Vangelo” può “essere capito e penetrare nei cuori”. “Non basta solo arrivare in un posto e occupare un territorio, bisogna poter suscitare processi nella vita delle persone perché la fede metta radici e sia significativa. E a tale scopo dobbiamo parlare” la lingua degli altri, “occorre arrivare lì dove si generano i nuovi temi e paradigmi, raggiungere con la Parola di Dio i nuclei più profondi dell’anima delle nostre città e dei nostri popoli. L’evangelizzazione della cultura ci chiede di entrare nel cuore della cultura stessa affinché questa sia illuminata dall’interno dal Vangelo”.
A Santa Marta: il colonialismo culturale non vince il dialetto
Papa Francesco parla spesso dell’importanza della lingua madre. La lingua materna, sottolinea, è un baluardo contro le colonizzazioni ideologiche e culturali, contro il pensiero unico che vuole distruggere le diversità. “Uno degli indicatori di una colonizzazione culturale - dice nella Messa a Casa Santa Marta del 23 novembre 2017 - è “cancellare la storia” per togliere la libertà di pensiero. Come a dire: “La storia incomincia con me, incomincia adesso, con il racconto che io faccio adesso, non con la memoria che vi hanno trasmesso”. Conservare la lingua materna significa resistere a questa imposizione culturale: “Non c’è alcuna colonizzazione culturale che possa vincere il dialetto”. Il dialetto “ha radici storiche”.
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