“Siria. La fine dei diritti umani”, un libro per non dimenticare
Luisa Urbani – Città del Vaticano
Con il volume "Siria. La fine dei diritti umani”, presentato ieri a Roma nel giorno di un ennesimo attacco kamikaze, il giornalista Riccardo Cristiano racconta la complessa situazione del Paese del Medio Oriente martoriato da otto anni di sanguinosa guerra che nonostante le circa 500mila vittime e le conseguenze sugli equilibri internazionali, secondo l'autore, rischia di essere sottovalutata quando non dimenticata.
La guerra non è finita
“In Siria – afferma Amedeo Ricucci, giornalista e autore della prefazione del libro - la guerra non è assolutamente finita. La tendenza è quella di far credere che sia in atto una pacificazione, che la vita stia tornando alla normalità e che i seimila profughi stiano tornando a casa, ma non è così. In realtà si continua a combattere in diverse zone del Paese”. Poche ore fa, infatti, l’ultimo tragico episodio. A Manbij, località nel nord della Siria, un kamikaze si è fatto esplodere in un ristorante, uccidendo 20 persone.
Un conflitto sottovalutato e dimenticato
“Questa guerra - spiega l’autore del libro, Riccardo Cristiano - ha una portata globale eppure è sottovalutata. È una terza guerra mondiale nel senso che è stata combattuta da tutti i principali eserciti del mondo e ha visto le più efferate forme di violenza che hanno coinvolto le opinioni pubbliche mondiali. Aver trascurato questo conflitto - prosegue - ha consentito ai protagonisti delle violenze, ai fautori degli opposti terrorismi che si sono confrontati sul terreno, di presentare se stessi come l’alternativa all’altro”.
Il dolore e la speranza
Dalla lettura globale del conflitto siriano che emerge dal libro si evidenzia che il dolore causato dalla guerra non ha risparmiato nessuno specie tra i cristiani. “Il primo messaggio di speranza – conclude Riccardo Cristiano - verrebbe dalla decisione della comunità internazionale di recarsi in Siria per dare onesta sepoltura a tutte le vittime che si trovano ancora nelle fosse comuni. Un atto del genere non muterebbe i termini militari del conflitto, ma sanerebbe quelle ferite spirituali che sono ancor più gravi delle ferite fisiche e materiali enormi che sta patendo la Siria e tutto il suo popolo”.
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