I morti dei bombardamenti in Yemen I morti dei bombardamenti in Yemen 

Yemen: mozione per fermare invio delle armi a Paesi in guerra

"Non si può restare indifferenti di fronte a ciò che sta accadendo in Yemen, dove muoiono tantissime persone anche a causa delle armi prodotte in Italia": questo il senso della mozione presentata ieri in Campidoglio, presso la Sala del Carroccio. Intervista a Maurizio Simoncelli, presidente di Archivio Disarmo, e a Carlo Cefaloni, redattore di Città Nuova

Claudia Valenti – Città del Vaticano

La proposta è partita da Assisi, città simbolo di pace, dove il Consiglio Comunale lo scorso novembre ha approvato all’unanimità la mozione “Stop bombe per la guerra in Yemen”. La mozione impegna il Sindaco e la Giunta a dichiarare l’assoluta contrarietà alla fabbricazione di armi e di materiale destinato ai Paesi in conflitto nel territorio italiano; la propria volontà di promuovere azioni e progetti per la realizzazione di concrete ed effettive politiche di disarmo e di pace; la volontà di porsi come luogo di costruzione di rapporti internazionali di pace e solidarietà e di impegnarsi a promuovere, insieme agli altri comuni convergenti su questi stessi intenti e alle associazioni e ai comitati di cittadini interessati, ogni azione perché governo e parlamento italiano blocchino l’esportazione di armi destinate all’Arabia Saudita e a tutti i Paesi coinvolti nel conflitto armato yemenita.

La possibile adesione del Comune di Roma

Il Comune di Roma dovrà discutere la mozione, per decidere se aderire o meno alla rete di comuni italiani che si stanno schierando contro l’esportazione di armi. “Spero che anche a Roma questa proposta venga approvata all’unanimità dei consensi - ha detto Giulio Pelonzi, capogruppo del Pd e consigliere comunale di Roma – perché credo che questa iniziativa debba trovare nella capitale d’Italia un punto di riferimento. Le ragioni economiche devono smetterla di prevalere su quelle sociali ed etiche”.

Sostenitori e firmatari

Ad oggi hanno aderito alla mozione quattro città italiane: ad Assisi si sono aggiunte Cagliari, Bologna e Verona. “La speranza – ha affermato Stefania Proietti, sindaco di Assisi - è di coinvolgere tutti e 8.000 i comuni d’Italia, in un fronte unico che si faccia ascoltare dal governo”. Tra le associazioni, i primi firmatari della proposta sono stati: il Movimento dei Focolari Italia, Un Ponte per…, Arci, Pro Civitate Christiana Assisi, Libera (Associazioni, nomi e numeri contro le mafie), Gruppo Abele, Fondazione Finanza Etica, l’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo, il Movimento Nonviolento Roma, la Rete della Pace, Pax Christi, Amnesty International Italia, la Commissione globalizzazione e ambiente della Federazione chiese evangeliche in Italia.

Un’iniziativa per coinvolgere la società civile

“Questa iniziativa – spiega a Vatican News Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’Archivio Disarmo - si inserisce nell’azione che stiamo portando avanti congiuntamente ad altre associazioni per coinvolgere quanto più possibile le comunità locali, e in particolare i comuni italiani, a premere sul governo, affinché venga attuata una politica che sia davvero coerente con i principi costituzionali e con tutte le leggi italiane, europee e internazionali che i governi italiani hanno firmato”. In tale quadro, emerge il ruolo fondamentale della coscienza dei singoli e delle iniziative sorte dal basso: “Cercheremo – continua Simoncelli – di coinvolgere la società civile, intesa come associazioni e enti locali, perché si faccia portavoce di questo desiderio della popolazione italiana a mettere fine a un massacro terribile come quello che sta avvenendo in Yemen”.

Una mozione pubblica e di impegno sociale

“Bisogna cambiare il volto di una politica che è incapace di dare risposta alle emergenze della nostra umanità” dichiara a Vatican News Carlo Cefaloni, redattore di Città Nuova, organo d’espressione del movimento dei Focolari. “Di fronte al silenzio prolungato delle istituzioni, del governo e del Parlamento, è necessario riconquistare uno spazio democratico, che parta dalle relazioni e dai legami sociali. Per questo ci siamo fatti promotori di questa mozione, che è partita da Assisi, ma che punta a coinvolgere quante più città italiane, in una presa di consapevolezza generale”.

La guerra in Yemen: i numeri sconcertanti

In base ai dati della relazione dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani dell’agosto 2018, in Yemen più di 22 milioni di persone necessitano di sostegno umanitario, a causa di un conflitto giunto ormai al suo quarto anno. Sono più di 17 milioni le persone in condizioni di insicurezza alimentare e, fra queste, oltre otto milioni rischiano proprio di morire di fame. La parte di popolazione più colpita è composta da donne e bambini: da marzo 2015, più di 2.500 bambini sono stati uccisi, oltre 3.500 sono stati mutilati o feriti e un numero crescente di minori è stato reclutato dalle forze armate sul campo.

L’immobilità del governo italiano

“Nonostante il cambio di governo - dichiara Maurizio Simoncelli - non è stata affatto modificata la politica italiana di esportazione di armi. L’Italia continua ad inviare armi a paesi in guerra, situandosi al nono posto fra i principali esportatori e importatori di sistemi d’arma”. In base al rapporto di Archivio Disarmo, per l’export italiano di armamenti e munizioni l’area mediorientale e nordafricana è diventata tanto rilevante da rappresentarne, nell’ultimo biennio, una quota di circa il 50%. “Il ripudio della guerra – prosegue - dovrebbe mettersi in pratica non creando o modificando una legge, ma attuandone una già esistente, la 185/90, che già vieta la vendita di armi ai Paesi in guerra e prevede il finanziamento di seri piani di riconversione industriale”.

La Sardegna, una regione in difficoltà

Secondo i dati Istat, nei primi nove mesi del 2018 sono state esportate in Arabia Saudita armi e munizioni per 45.205.904 euro, di cui 44.941.621 euro proprio dalla provincia di Cagliari, dove ha sede lo stabilimento produttivo delle bombe MK80, la RWM. Il territorio sardo è occupato quasi per il 60% da poligoni o zone di addestramento militare: l’economia di guerra sembra la sola fonte di guadagno rimasta per una regione devastata dalla disoccupazione e dall’emigrazione giovanile.

 

 

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29 gennaio 2019, 12:12