Le attese di libertà religiosa nel mondo islamico
Roberta Gisotti – Città del Vaticano
La drammatica questione della libertà religiosa non poteva non evidenziarsi nel recente viaggio di Francesco, il primo nella penisola arabica, regione a maggioranza musulmana. C’era dunque molta attesa sulle parole del Papa e sul contenuto della Dichiarazione sulla fratellanza umana, sottoscritta il 4 febbraio scorso ad Abu Dhabi da Francesco insieme al Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb. Documento che ha segnato una storica presa d’atto - anche da parte islamica - delle persecuzioni, discriminazioni, abusi e atti di terrorismo perpetrati in così tanti Paesi nei confronti delle minoranze, ciò a causa dell’errata interpretazione di testi religiosi e per l’uso distorto della fede “a fini politici ed economici, mondani e miopi”, che nulla hanno “a che vedere con la verità della religione”. “Senza libertà – ha sottolineato il Papa – prima della firma - non si è più figli della famiglia umana, ma schiavi”.
Dunque quali prospettive si aprono ora? Lo abbiamo chiesto al professor Valentino Cottini, direttore della rivista Islamochristiana, docente di Relazioni islamo-cristiane al Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica (Pisai), di cui è stato preside.
Don Cottini, in tanti auspicano che dalle parole si passi ai fatti a partire dalla reciprocità del rispetto della libertà religiosa, che va oltre quella di culto, come ha ricordato il Papa. Questo avverrà?
R. – Certamente, questo è un documento programmatico da cui ci si può aspettare davvero parecchio, ma non ci si può aspettare che magicamente cambi le situazioni. L’aspetto più importante è quello della libertà religiosa: un aspetto che ha creato e crea diversi problemi, e soprattutto li crea nel mondo islamico, in particolare nella prospettiva di, eventualmente, un cambio di religione, quando normalmente finora, nella gran parte del mondo musulmano si pensa che se c’è un cambio di religione, questo sarà verso l’islam e non verso un’altra religione a partire dall’islam. Quindi, che aspettarsi? Nell’immediato credo niente. Ma le due istituzioni, e cioè la Chiesa cattolica e l’Università di Al Azhar, a nome dei musulmani - sunniti naturalmente - si sono impegnate a diffondere e a far studiare questo documento a livello delle scuole, delle università, dei centri culturali. Questo è un aspetto assolutamente positivo.
È importante, quindi, che il principio di libertà religiosa possa avere il consenso dei popoli. Dunque è una questione culturale da far maturare?
R. – Assolutamente sì, perché c’è una tradizione di secoli – vorrei dire - da una parte e dall’altra, perché il concetto della libertà di coscienza, della libertà religiosa, è stato ‘sdoganato’ dal punto di vista anche cattolico non più di una sessantina di anni fa. Quindi è un discorso piuttosto complesso e che ha bisogno di maturare nel corso degli anni.
Don Cottini, garantire la libertà religiosa è anche una responsabilità giuridica affidata agli Stati, così come indicato nelle Carte internazionali e sovente richiamato in ambito Onu e in altri contesti internazionali. Eppure in così tanti Paesi a maggioranza islamica, ma non solo, questa responsabilità viene elusa o anche violata apertamente, quando non vi siano vere persecuzioni fino al rischio della vita o alla condanna a morte, e questo si consuma spesso anche nel silenzio della comunità internazionale…
R. – Purtroppo sì, questo avviene. Bisognerà, credo, da tutti i punti di vista, alzare la voce proprio su questi fatti. Questo documento invoca la libertà religiosa e denuncia anche le storture. Ma chiaramente tutto questo ha bisogno di maturare e di diventare anche legge degli Stati, e d’indurre una mentalità che gradatamente si svilupperà, senza dubbio.
Don Cottini, nella Dichiarazione si affronta anche la tragedia del radicalismo islamico che confluisce nelle azioni terroristiche e si condanna soprattutto l’interpretazione errata dei testi religiosi. Anche questo è un passo avanti che si è messo per iscritto…
R. – Tutti e due i capi religiosi che hanno firmato la Dichiarazione sottolineano che la violenza all’interno delle religioni nasce da una deviazione o da una manipolazione dei testi religiosi. Un pericolo che è insito in tutte le religioni quando vengono manipolate o strumentalizzate.
Bisogna anche dire che massima parte delle vittime del radicalismo e del fondamentalismo islamico sono proprio persone della stessa religione islamica…
R. – Esattamente, e questo tra l’altro spiega anche l’atteggiamento degli Emirati Arabi Uniti, che sono un punto fermo da questo punto di vista, proprio contro le degenerazioni terroristiche o fondamentaliste all’interno dello stesso islam. E, senza dubbio, la questione tocca anche gli Stati e le situazioni del mondo musulmano, che sta incominciando a prendere coscienza di qualcosa che rischia di sovvertire lo stesso islam. Anche l’islam che viene spesso percepito, magari in Occidente, come una forza d’urto molto forte, magari molto coesa, sta mostrando tutta la sua fragilità e la crisi che sta vivendo, una crisi di identità molto profonda. Allora, credo, vi sia una specie di alleanza tra credenti contro lo sfaldamento delle grandi religioni, che da adito poi ai materialismi e a tutte quelle visioni della vita senza Dio, che vengono denunciate proprio nel documento sulla Fratellanza umana.
Possiamo considerare la Dichiarazione anche come un frutto positivo di una crisi che sta attraversando lo stesso mondo musulmano. Quindi sarà importante che non rimanga un testo di consultazione per le élites, ma invece che invece sia portato alla comprensione dei popoli…
R. – Assolutamente sì: il fatto che diventi un elemento di fermento per il mondo, sia cristiano sia musulmano, credo che sia davvero l’aspetto dirompente e fruttuoso di questo documento, che è veramente un caposaldo di questo nostro tempo. Tutte le grandi religioni attualmente sono in crisi: anche il nostro cristianesimo non dimentichiamo che lo è. E quindi l’alleanza in qualche modo dei credenti è fondamentale.
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