Giorno del Ricordo. Micich: passi avanti nella comprensione di una tragedia
Adriana Masotti - Città del Vaticano
“Giorno del Ricordo”, per fare memoria non solo dell’orrore delle foibe, ma anche dell’esodo di circa 350 mila istriani, fiumani e giuliano-dalmati dalle loro terre, annesse, nel secondo dopo guerra, all’Jugoslavia di allora dal maresciallo Tito. Ricorre ogni 10 febbraio e l’istituzionalizzazione di questa giornata, avvenuta con una legge del 2004, è stata fondamentale per tutte le comunità degli esuli. “E’stata una svolta”, commenta Marino Micich, direttore dell'Archivio Museo storico di Fiume, a Roma, e segretario della Società di studi fiumani. Finalmente, dice, le amministrazioni possono dedicare uno spazio a quella vicenda storica e molti operatori culturali promuovono iniziative su questi temi.
Mattarella: una grande tragedia italiana
"Celebrare la Giornata del Ricordo significa rivivere una grande tragedia italiana", ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante la commemorazione, ieri, al Quirinale. "Un capitolo buio della storia nazionale e internazionale, che causò lutti, sofferenza e spargimento di sangue innocente. Mentre, infatti, sul territorio italiano la conclusione del conflitto contro i nazifascisti sanciva la fine dell'oppressione - ha proseguito il capo dello Stato - e il graduale ritorno alla libertà e alla democrazia, un destino di ulteriore sofferenza attendeva gli italiani nelle zone occupate dalle truppe jugoslave".
Micich: più vicini a una lettura obiettiva di quella pagina
Marino Micich è laureato in slavistica ed è autore di numerosi saggi sul confine orientale italiano, sulle problematiche legate all'esodo e alle foibe, e sull'inserimento degli esuli istriani e dalmati nel tessuto sociale italiano. Alla domanda su quanto e perché sia importante ricordare tutto questo, ai nostri microfoni, risponde così:
R. - È importante ricordare soprattutto pagine di storia che per lungo tempo sono state ignorate, taciute, perché è una storia che coinvolge oltre 300mila persone italiane dell’Istria, della Dalmazia, che dovettero, a causa del regime comunista jugoslavo, abbandonare le proprie terre. La storia europea oggi ci insegna che i principi di pace, di tolleranza, sono molto importanti se vogliamo costruire un futuro positivo anche per le giovani generazioni.
Di recente è uscito un film “Red Land” che descrive il dramma delle Foibe e dell’esodo. In alcune sale dove è stato proiettato l’accoglienza non è stata buona, ci sono state anche scritte offensive e polemiche. Quanto siamo lontani ancora da una lettura obiettiva dei fatti accaduti?
R. - Siamo lontani, ma non lontanissimi. Devo dire che in questi ultimi dieci anni sono uscite opere storiografiche che narrano, sulla base di documenti, di testimonianze e di studi storici scientifici acclarati, l’esodo, le violenze che furono perpetrate nei confronti della popolazione italiana vista come nemica del popolo: questa era la dizione che veniva data dalle autorità comuniste jugoslave. Quindi studi ci sono, solo che esistono alcune interpretazioni che cercano di giustificare la tragedia delle foibe e poi della pulizia etnica e ideologica che ha subito la popolazione italiana nel secondo dopoguerra, come una risposta alla guerra scatenata dal fascismo. Naturalmente questa non è una spiegazione valida. Il dramma dell’esodo e delle Foibe, secondo me – e secondo molti –, va collocata nel lungo dopoguerra, nel periodo della Guerra Fredda. L’esodo della popolazione italiana è durata oltre dieci anni! Le ondate più grandi avvengono prima nel 1945, poi nel 1947 con la firma del Trattato di pace di Parigi e poi nel 1953 dalla zona B del territorio libero di Trieste, Capo d’Istria. Da lì oltre 30mila italiani, nonostante la guerra fosse finita da nove anni, fuggono dal regima comunista jugoslavo in cerca di libertà. Sono italiani e per fortuna che l’Italia era vicina… Ecco che certe interpretazioni, negazioniste, riduzioniste delle foibe, il fatto che tutto venga spiegato come una reazione al fascismo, tutto questo è troppo limitato, risulta un’interpretazione strumentale, forse per giustificare i crimini commessi dalla polizia segreta jugoslava.
Quindi bisogna ricordare, ma bisogna anche andare avanti, come sta facendo anche lei che è molto impegnato nel ricostruire il tessuto sociale di quelle terre e, ad esempio, si è adoperato per il riconoscimento del bilinguismo. A Fiume, da ottobre, la toponomastica è in due lingue: italiano e croato …
R. - Sì, sono stato coinvolto assieme al presidente della Società di studi fiumani, Giovanni Stelli, ma ho avuto la fortuna già con il primo presidente nel 1991 – 1992 di collaborare al dialogo, di compiere le ricerche insieme a studiosi croati. Tornare a Fiume è stato possibile dopo il crollo dell’ex Jugoslavia. Con le moderne repubbliche di Slovenia e Croazia si sono aperti anche i canali del dialogo culturale ufficiale. Infatti le devo dire che, tra le altre cose, c’è stata anche la visita del sindaco di Fiume (Rijeka, in croato) al Museo storico di Fiume a Roma lo scorso anno e che ora le vie del centro storico di Fiume portino anche l’antica dizione italiana è un fatto di conquista culturale anche per i croati. Fiume sarà capitale della cultura europea nel 2020, e il comune della città ha ritenuto giusto coinvolgere non solo la minoranza italiana presente in città, ma anche la nostra Società di studi e con il museo storico che ha una documentazione molto importante per questo tipo di iniziative. C’è quindi un movimento che va aldilà delle questioni politiche, della lettura ideologica della storia. Dal nostro punto di vista cerchiamo di fare tutto sempre con spirito costruttivo e di dialogo, perché sappiamo che durante le due guerre mondiali hanno sofferto tutti, non solo gli italiani, ma anche altri popoli con milioni di morti. La storia ci deve insegnare sicuramente ad evitare la guerra, la violenza come metodo per risolvere i problemi. Oggi siamo ritornati ad antagonismi nazionali per certi versi, ma penso che la storia, la cultura, la volontà di pace debba prevalere tra i popoli europei per risolvere i problemi del presente.
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