Haiti ad un passo dalla guerra civile: l’appello della Fondazione Rava
Benedetta Capelli – Città del Vaticano
Una popolazione allo stremo, disordini e violenze con almeno sette vittime, il presidente Moïse che non intende fare passi indietro. E’ quanto si sta vivendo ad Haiti dal 7 febbraio, giorno nel quale sono esplose le proteste nella capitale Port-au-Prince. L’opposizione accusa il capo dello Stato di aver sottratto il denaro stanziato per la ricostruzione del Paese dopo il devastante terremoto del 2010, che allora provocò trecentomila morti. Ieri in un discorso televisivo Moïse ha dichiarato di non volere cedere alle minacce dei gruppi armati e dei trafficanti di droga.
Le sofferenze della popolazione
Mentre gli Stati Uniti hanno richiamato il personale non di emergenza e i loro famigliari, il Canada ha chiuso l’ambasciata a tempo indeterminato. La popolazione soffre la mancanza di cibo e di assistenza sanitaria: una situazione denunciata qualche tempo fa dai vescovi dell’isola caraibica che avevano parlato di un aumento della miseria, di “un Paese sull’orlo dell’abisso”. “C’è violenza contro la vita”: hanno spiegato i presuli, lanciando un appello perché i diversi partiti politici si impegnino per trovare “una soluzione saggia che tenga conto dei migliori interessi della nazione e della difesa del bene comune”.
L’appello della Fondazione Rava
Ad Haiti, la Fondazione Rava sostiene l’impegno di Padre Rick Frechette, da 30 anni sull’isola, per soccorrere e distribuire acqua con camion cisterna, sacchi di fagioli e riso. La presidente Maria Vittoria Rava (Ascolta qui l'intervista) racconta a Vatican News come sta vivendo la popolazione:
R. – Noi, come Fondazione Rava, sosteniamo i nostri ospedali Saint Damien, unico ospedale pediatrico gratuito, e Saint Luc, Trauma Center. Viviamo in una situazione di grandissima tensione, dove le strade sono bloccate perché ci sono migliaia di giovani, di persone, che protestano e accendono i fuochi, buttano delle rocce. Quindi è molto difficile per il nostro personale medico, e anche per i pazienti, raggiungere gli ospedali. I nostri ospedali sono stra-affollati anche perché le persone, le famiglie che arrivano, poi non riescono più a ritornare indietro. Mancano i beni essenziali e ciò a causa del rincaro del prezzo del petrolio. A cascata poi c’è stato il rincaro del prezzo del riso, dell’acqua e di tutti i beni che servono per la mera sopravvivenza delle persone. Se si pensa che, secondo i dati della Banca Mondiale, il 60 percento degli haitiani vive con due dollari al giorno e il resto con meno di un dollaro al giorno – quindi in condizioni di estrema miseria – questa situazione impatta in un modo feroce mettendo veramente in ginocchio la gente. Lo sforzo più grande che padre Rich, il nostro direttore dei progetti in Haiti, insieme con il suo team medico sta portando avanti, è quello di andare a recuperare i feriti nelle strade. Ed è molto difficile appunto. Ciò che ci ha riportato è che la gente muore di fame, ma soprattutto di sete. E quindi sta organizzando dei camion cisterna che distribuiscono l’acqua potabile, che non è distribuita in Haiti né ai poveri né ai ricchi: non esistono infrastrutture.
Tra l’altro, è un Paese che già era stato duramente provato nel 2010 da questo devastante terremoto, e che non si è forse nemmeno più ripreso da allora…
R. – Sì, diciamo che noi lavoriamo da parecchi anni prima del terremoto e Haiti, che purtroppo era anche la perla dei Caraibi quindi con tutte le potenzialità per essere un’isola meravigliosa, era già da tempo abbattuta dalla miseria e dall’inflazione. Il terremoto ha distrutto quel poco che c’era. Gli aiuti internazionali però sono arrivati veramente in minima parte. E questo è stato poi l’inizio di una nuova caduta di questo Paese e di questo popolo che è sempre più arrabbiato perché non riesce ad avere riconosciuta la propria dignità. Adesso l’inflazione è talmente alta che fino ad ottobre, per avere un dollaro bastavano 63 gourde, adesso già a febbraio ce ne vogliono 83. Se si pensa che lo stipendio medio di una persona già fortunata è di 10mila gourde - cioè di 145 dollari più o meno – adesso questi gourde valgono molto meno, e le persone non riescono, neanche quelle che hanno la fortuna di avere un lavoro per esempio nel nostro ospedale, a sfamare le loro famiglie.
Qual è l’appello che la Fondazione Rava intende lanciare per fronteggiare questa emergenza?
R. – Innanzitutto, un appello alla comunità internazionale, affinché guardi e aiuti Haiti. E poi ai nostri donatori e alle persone che vorranno aiutare il lavoro dei nostri medici di padre Rich, dell’ospedale Saint Damien: con soli 25 euro si può per esempio donare un sacco di riso; con 100 euro si può donare la distribuzione di acqua a 100 famiglie. Di conseguenza, qualunque tipo di aiuto, anche piccolo, permette alle nostre persone giù di portare avanti l’opera faticosa per la quale anche rischiano la vita tutti i giorni per salvare tante vite che lo meritano fortemente. Il sito della fondazione riporta le notizie e anche tutti i modi per aiutare.
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