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Mappa delle persecuzioni religiose nel rapporto Acs Mappa delle persecuzioni religiose nel rapporto Acs 

Libertà religiosa nel mondo ostaggio di fondamentalismi, nazionalismi, autoritarismi

La libertà religiosa tra i temi salienti nel recente viaggio del Papa negli Emirati Arabi Uniti, a fronte della crescente persecuzione non solo dei cristiani ma anche dei musulmani e molte altre minoranze nel mondo intero

Roberta Gisotti – Città del Vaticano

La drammatica questione della libertà religiosa non poteva non evidenziarsi nel viaggio di Francesco, il primo nella penisola arabica, regione a maggioranza musulmana. C’era dunque molta attesa sulle parole del Papa e sul contenuto del documento sulla fratellanza umana - sottoscritto da Francesco insieme al Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb - che ha segnato una storica presa d’atto anche da parte islamica delle persecuzioni, discriminazioni, abusi e atti di terrorismo perpetrati in così tanti Paesi nei confronti delle minoranze, ciò a causa dell’errata interpretazione di testi religiosi e per l’uso distorto della fede “a fini politici ed economici, mondani e miopi”, che nulla hanno “a che vedere con la verità della religione”. “Senza libertà – ha sottolineato il Papa – prima della firma - non si è più figli della famiglia umana, ma schiavi”.

I credenti di ogni religione perseguitati in molte regioni e Paesi

I credenti sono infatti perseguitati in molte regioni del mondo e in numerosi Stati le minoranze subiscono ostilità sociale, vessazioni per mano governativa o da parte attivisti e vengono discriminate nell’accesso all’istruzione, agli uffici pubblici, al diritto di proprietà. Nel mondo 13 Paesi applicano la pena di morte per ateismo, 22 per conversione ed oltre 70 hanno leggi che puniscono la blasfemia, come dichiarato, a fine 2018, dall’inviato speciale per la promozione della libertà di religione o di credo al di fuori dell’Ue, lo slovacco Ján Figeľ , già Commissario europeo.

Un cristiano su sette vive in un Paese di persecuzioni religiose

Ma quanti sono gli ‘schiavi’ nel mondo privati della libertà religiosa, che va oltre quella di culto, come osservato dal Papa? Impossibile quantificare il numero esatto, ma certamente la comunità perseguitata più numerosa al mondo è quella cristiana. Secondo l’ultimo rapporto sulla libertà religiosa redatto dalle Fondazione Pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs), 1 cristiano su 7 vive in un Paese di persecuzione. In totale ben 300 milioni di fedeli hanno subito abusi - nel periodo preso in esame tra giugno 2016 e giugno 2018 - a motivo della loro fede. Su 196 Stati monitorati 38 hanno registrato gravi o estreme violazioni della libertà religiosa non solo nei confronti dei cristiani ma di molte altre minoranze, di cui 21 classificati come “persecutori”: Corea del Nord, Eritrea, India, Indonesia, Iraq, Libia, Niger, Nigeria, Pakistan, Palestina, Siria, Somalia, Sudan, Turkmenistan, Uzbekistan e Yemen e 17 “discriminatori”: Algeria, Azerbaigian, Bhutan, Brunei, Egitto, Federazione Russa, Iran, Kazakistan, Kirghizistan, Laos, Maldive, Mauritania, Qatar, Tagikistan, Turchia, Ucraina e Vietnam. 

Oltre metà della popolazione mondiale vive a rischio la propria fede

Il rapporto evidenzia che il 61 per cento della popolazione  mondiale vive in Paesi in cui non vi è rispetto della libertà religiosa e che nell’11 per cento degli Stati del mondo vi è persecuzione e nel 9 per cento vi è discriminazione in vari ambiti della vita politica e sociale delle minoranze. Una situazione che viene peggiorando in 16 dei 38 Stati inseriti nella lista nera, di cui otto Paesi dell’Asia: Cina, India, Myanmar, Indonesia, Bangladesh, Pakistan, Turkmenistan, Uzbekistan; quattro del Medio Oriente: Siria, Iraq, Yemen, Palestina; quattro dell’Africa: Libia, Sudan, Somalia, Niger; mentre in altri cinque Paesi Corea del Nord, Arabia Saudita, Nigeria, Afghanistan ed Eritrea il livello delle violazioni è rimasto invariato, “giacché così grave da non poter peggiorare”, commenta Acs.

Oltre quattromila cristiani sono stati uccisi nel 2018

In aumento anche le vittime, gli arresti arbitrari, le distruzioni di luoghi di culto, come documenta il Rapporto 2019 dell’organizzazione internazionale Open doors – Porte Aperte. Tra novembre 2017 e novembre 2018 sono stati uccisi 4.305 cristiani per ragioni di credo, 1236 in più rispetto ai 3.066 registrati nel precedente rapporto; sono stati inoltre arrestati, condannati e detenuti senza processo 3.150 fedeli e sono state attaccate 1847 chiese ed edifici collegati.

I 50 Paesi più persecutori: in cima Corea del Nord, Afghanistan, Somalia

Nella classifica stilata dei 50 Paesi più persecutori, su 150 monitorati - dove i fedeli non solo cristiani sono più oppressi, vessati, discriminati oggetto di abusi e violenze fisiche fino all’uccisione - ben 35 si trovano in Asia, 15 in Africa e 2 in America latina. In cima alla lista nera si conferma la Corea del Nord, dove si stima siano detenuti nei campi di lavoro tra 50 e 70 mila cristiani. A seguire sono l’Afghanistan e la Somalia, a causa di società islamiche radicalizzate e d’instabilità politica endemica e poi la Libia, il Pakistan, il Sudan, l’Eritrea, lo Yemen, l’Iran, l’India e la Siria.

11 Paesi praticano persecuzioni estreme delle minoranze

Ben undici i Paesi, dove Porte Aperte, ha riscontrato una realtà di persecuzione “estrema” dei cristiani e di altre minoranze. Cinque anni fa in questa categoria rientrava solo la Corea del Nord, segno di un clima persecutorio crescente in molte aree del pianeta, dovuto principalmente ad autoritarismi statali, all’accresciuta oppressione islamica e all’ascesa di nazionalismi religiosi, specie quelli induista in India e buddista in Myanmar ma anche alle opposizioni comunista e post comunista in Cina e in Vietnam, all’intolleranza sociale verso esponenti delle Chiese, che sfidano la corruzione e i cartelli della droga, in Messico e in Colombia e a motivi di antagonismi tribali nelle aree rurali.

In Asia un terzo dei cristiani è perseguitato ma l’Africa è continente più a rischio

L’Africa risulta tra i continenti quello più a rischio di morte, a causa dell’alto numero di vittime in un solo Paese, la Nigeria, dove si concentra massima parte delle uccisioni di cristiani, ben 3.731 lo scorso anno. Ma è in Asia che si consuma massima parte degli abusi: nella media generale un cristiano su tre è definibile perseguitato.

Autoritarismi e nazionalismi religiosi: il caso dell’India

A denunciare l’aumento di autoritarismi e nazionalismi ai danni della libertà di fede è anche Aiuto alla Chiesa che soffre, che evidenzia il caso dell’India dove il forte aumento delle violenze ai danni delle minoranze religiose, cristiana e musulmana, è conciso con l’ascesa del Partito popolare indiano (Bjp), del premier nazionalista Narendra Modi, in carica dal 2014. Nel 2017 in questo Paese sono stati compiuti 736 attacchi solo contro i cristiani, poco più del 2 per cento della popolazione indiana, che all’80 per cento si riconosce nell’identità induista. L’India non ha in realtà una religione ufficiale, quindi sulla base della Costituzione è un Paese libero che anzi proclama e rivendica la liberta di fede. Ma ad oggi su 29 Stati indiani 7 hanno in vigore leggi anti-conversione per proteggere la religione induista che da parte di esponenti nazionalisti si vorrebbe far coincidere con lo Stato.

Nuove misure restrittive in Cina per gruppi di ogni fede

L’ultranazionalismo – fa notare Acs - non si identifica però necessariamente con una religione ma spesse volte si manifesta come una generale ostilità dello Stato nei confronti di tutte le fedi e si traduce in misure restrittive che limitano la libertà religiosa. Esempio eclatante in tal senso oltre la Corea del Nord è la Cina, dove i nuovi “regolamenti sugli affari religiosi” impongono ulteriori restrizioni ai gruppi di ogni fede.

Il radicalismo islamico è presente in 22 Paesi

In continua ascesa anche il radicalismo islamico, per cui il successo della campagne militari con il sedicente Stato islamico ha in qualche modo ‘celato’ – mette in guardia Acs – la diffusione di altri movimenti militanti islamici in regioni dell’Africa, del Medio oriente e dell’Asia. Il fondamentalismo di matrice islamica  è infatti presente oggi in 22 Paesi, in cui vivono oltre un miliardo e 300 mila persone.

L’oppressione islamica ai danni delle donne

Di particolare gravità la persecuzione islamica ai danni delle donne, rapite e costrette a convertirsi: solo in Pakistan, ogni anno, circa mille ragazze cristiane e indù hanno questa sorte. Stupri, sequestri e conversioni di donne sono un’arma di battaglia usuale per gruppi fondamentalisti collegati all’Is e al movimento Boko Aram in Nigeria, dove crescono anche le violenze dei pastori militanti di etnia fulani.

Il terrorismo fondamentalista contro le popolazioni musulmane

Oltre che le minoranze di altre fedi, il terrorismo di matrice religiosa, a scopo politico, ad opera di gruppi fondamentalisti islamici penalizza soprattutto le popolazioni musulmane attaccate nei luoghi di conquista.

I popoli yazida e rohingya ‘cacciati’ dalla Siria e dal Myanmar

Casi eclatante di persecuzioni storiche, rinfocolate per vicende politiche negli ultimi anni, sono quelle contro i popoli yazida e rohingya.  Gli Yazidi di etnia curda, da secoli insediati tra l’attuale Siria e il nord dell’Iraq, seguaci di una propria religione con influenze zoroastriane, cristiane e sufiste, sono stati ripetutamente attaccati dai miliziani dell’Is, subendo omicidi e razzie di ogni genere, rapimenti, torture, messa in schiavitù e conversioni forzate, costretti in massa a fuggire dalle loro terre. I Rohingya, di religione islamica residenti in massima parte nello stato birmano di Rakhine, al confine del Bangladesh, sono stati sempre discriminati dal governo del Myanmar, Paese a maggioranza buddista, che nega loro la cittadinanza, ritenendoli bengalesi arrivati dopo la colonizzazione britannica. Quasi un milione è stato costretto lo scorso anno all’esodo verso il Bangladesh, a seguito di efferate persecuzioni.

Le minoranze Kachin e Karen ‘osteggiate’ dal governo birmano  

Due  drammatiche vicende che si sono consumate nel silenzio della comunità internazionale, per poi balzare agli onori della cronaca giornalistica, quando questi popoli sono diventati ‘ingombranti’ comunità di rifugiati da accogliere e proteggere. Così anche nello stesso Myanmar si è scoperto - dopo le recenti denunce di Amnesty International ed altri organismi umanitari - che da decenni le truppe governative perseguitano i popoli negli Stati di Kachin, al confine con la Cina e di Karen, al confine con la Thailandia, altre due etnie di minoranza nel composito mosaico di questo Paese asiatico.

Gli Uiguri turcofoni e musulmani ‘de-islamizzati’ da Pechino

Silenziata è stata anche la campagna avviata da Pechino nel 2014 contro “l’estremismo religioso”, a seguito di alcuni attentati nella regione dello Xinjiang, che si è risolta in violente persecuzioni contro il popolo residente degli uiguri, per sradicare la cultura e l’identità della minoranza turcofona musulmana, che da sempre rivendica una propria autonomia. Un rapporto di Human Rights Watch del settembre 2018 indica oltre un milione di uiguri detenuti arbitrariamente nei cosiddetti capi di rieducazione, senza avere diritto ad un processo, ne poter contattare avvocati o familiari. Il resto della popolazione uiguri è fatta oggetto di restrizioni straordinarie e controlli, abusi e maltrattamenti con l’obiettivo di deislamizzare la regione.

Le grida nel deserto degli organismi umanitari

Restano sovente grida nel deserto gli appelli delle agenzie dell’Onu e delle organizzazioni umanitarie governative e non governative per il rispetto della libertà religiosa in ogni angolo del Pianeta, cartina di tornasole del livello non solo teorico ma pratico dell’adesione degli Stati alla Dichiarazione universale dei diritti umani - proclamata nel 1948 - che hanno sottoscritto e ratificato e sovente anche trascritto nelle Carte costituzionali, senza poi dare seguito a quei principi di pacifica convivenza umana, espressione di civiltà e progresso condiviso nella grande famiglia delle Nazioni Unite.

La cortina d’indifferenza dell’occidente secolarizzato

Non va sottaciuta - denuncia Acs nel suo ultimo rapporto sulla libertà religiosa nel mondo - “la cortina di indifferenza dietro la quale le vulnerabili comunità di fede continuano a soffrire, mentre la loro condizione viene ignorata da un Occidente secolarizzato”. Evidenzia ancora Acs che “la maggior parte dei governi occidentali non ha provveduto a fornire la necessaria e urgente assistenza ai gruppi di fede minoritari, in particolare alle comunità di sfollati che desiderano tornare a casa nelle rispettive nazioni dalle quali sono stati costretti a fuggire”.

Il secolo dei genocidi interpella le coscienze

Il mondo assiste impotente “all’estremismo violento alimentato dal terrorismo islamico, dal nazionalismo indù o buddista, ma anche dallo statalismo ateo o dal laicismo ideologico” dimostrando “un’evidente incapacità di proteggere i gruppi vulnerabili”, denuncia l’inviato speciale Ue per la libertà religiosa, Ján Figel’, intervistato dall’agenzia Sir nel novembre 2018. “Il secolo dei genocidi – dichiara - interpella la nostra coscienza e la nostra responsabilità consiste nel generare una differenza positiva per il futuro dell’umanità”.

Il rispetto della diversità fondamento dei diritti umani universali

Un forte richiamo alla responsabilità è giunto dal segretario generale dell’Onu, António Guterres, in occasione dell’ultima Giornata mondiale dei diritti umani, il 10 dicembre 2018. Tra quattro “sfide straordinarie” da affrontare nei tempi presenti ha inserito la “libertà di culto”, insieme alla “libertà di espressione”, alla “libertà dal bisogno” e alla “libertà dalla paura”. “In tutto il mondo, - lamenta Guterres - i terroristi hanno preso in ostaggio la religione, tradendone lo spirito e uccidendo nel suo nome. Altri colpiscono le minoranze religiose e ne sfruttano la paura per calcoli politici. In risposta a questo, occorre promuovere il rispetto della diversità basato sull’uguaglianza fondamentale di tutte le persone e sul diritto alla libertà di religione.

 

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13 febbraio 2019, 15:30