Siria, 8 anni di guerra. Cinque milioni di bimbi dipendono ancora dagli aiuti
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Alla vigilia dell’ottavo, triste, anniversario dell’inizio della sanguinosa guerra civile in Siria, il 15 marzo, le organizzazioni internazionali e cattoliche pubblicano i loro rapporti sulla situazione del Paese, dove non si può certo parlare ancora di pace, nonostante l’Isis sia ormai alle corde. L’Unicef comunica che nel 2018 i minori uccisi dai combattimenti, per ordigni inesplosi e attacchi a scuole e ospedali sono stati 1106, e che i più piccoli soffrono per mancanza di cibo, acqua, riparo, assistenza sanitaria e istruzione. I bambini siriani rifugiati nei Paesi vicini sono più di due milioni e mezzo, e Save the Children calcola che, dopo 8 anni di conflitto, 4 milioni di bambini non hanno mai visto un giorno di pace, uno su due ha bisogno di assistenza umanitaria, 1 su 3 è senza scuola e altri due milioni e mezzo di minori sono sfollati all’interno della Siria stessa.
Il dossier di Caritas Italiana sulla Siria in guerra dal 2011
Anche quest’anno, Caritas Italiana ha preparato un dossier con dati e testimonianze, che sarà pubblicato il 14 marzo. Fabrizio Cavalletti, responsabile del desk Medio Oriente e Nord Africa, anticipa a Vatican News i dati più importanti di questo 45esimo report, dedicato alle speranze di riconciliazione ma anche agli effetti sulla popolazione di una guerra che non è certo finita.
R. - Nel dossier di quest’anno riportiamo dati che descrivono un Paese ancora in guerra, e i bambini sono tra le categorie più colpite. I minori che si trovano in una situazione di dipendenza dagli aiuti umanitari sono circa cinque milioni, un dato che è un po’ diminuito rispetto al 2018 e al 2017, ma in maniera non significativa. Nel 2018 erano cinque milioni e 300mila. Ma i tassi di povertà e di vulnerabilità rimangono molto alti. L’altro dato è quello di coloro che rimangono fuori da Paese o in altre località perché fuggiti dalla guerra. Oltre due milioni e mezzo di profughi sono minori, su un totale di quasi sei milioni. Altri dati significativi riguardano ad esempio l’educazione e la sanità, ambiti su cui c’è addirittura un peggioramento: sono 2,1 milioni i bambini che non frequentano le scuole – almeno una scuola su tre è di fatto inagibile – e poi c’è il dato dell’assistenza medica che complessivamente vede un peggioramento in quanto le persone che necessitano di assistenza medica sono circa 13 milioni e tra questi ovviamente ci sono molti minori.
L’Unicef riporta che sono più di mille i minori uccisi in Siria nel 2018, ma oltre al dramma delle vittime c’è quello dei minori venduti dalle stesse famiglie, quello del lavoro minorile, della prostituzione e dei matrimoni precoci …
R. - E anche dei bambini soldato. Nel dossier dell’anno scorso avevamo focalizzato l’attenzione proprio su queste situazioni di particolare vulnerabilità, che sono effetti della guerra che perdurano nel tempo e che peggiorano con il tempo, se non vi è una ripresa effettiva del Paese. Queste situazioni quindi non sono in calo, ma anzi, purtroppo, alcune di esser probabilmente si sono anche acutizzate. Anche il dato sull’arruolamento dei bambini soldato è molto importante: circa il 47 percento degli intervistati, nelle comunità, riteneva che effettivamente questo era stato un problema, che lo è ancora, e con effetti purtroppo significativi, perché si sa che i traumi subiti da bambini e bambine da un’esperienza di arruolamento sono devastanti per la psicologia della persona.
Quest’anno invece dove puntate il focus del dossier?
R. - Quest’anno il dossier sarà focalizzato principalmente a dare il messaggio che il conflitto non si può dire finito, sia perché la guerra continua in alcune aree, sia appunto perché gli effetti di questa guerra continuano ad essere molto significativi, nonostante i riflettori su questo conflitto si stiano affievolendo. Un elemento importante è la situazione dei Paesi limitrofi che accolgono i profughi siriani, principalmente Turchia, Giordania e Libano. Da questi Paesi al momento i profughi non stanno tornando, perché ancora le condizioni del Paese non lo consentono. Questo però dà luogo ad una pressione notevole su questi Paesi, che sono ormai sull’orlo del collasso per questa presenza molto significativa di profughi siriani.
Quale bilancio fate dei vostri interventi? L’anno scorso la situazione era di 60 progetti attivi in otto Paesi per sostenere sia Caritas Siria che le Caritas del Paesi limitrofi …
R. - I progetti più importanti hanno un carattere pluriennale. Quindi proseguiamo nel lavoro di assistenza umanitaria e di riabilitazione soprattutto dei giovani al lavoro e allo sviluppo, per cercare di rispondere in modo diverso a quest’idea che la guerra sia finita e quindi insomma si possano anche abbassare un po’ i riflettori. Così non è e noi nelle nostre progettualità stiamo cercando di dare una continuità e quindi avere il più possibile un approccio che non sia di breve temine, di anno in anno, ma pluriennale. Le nostre controparti, la Caritas Siria, la Caritas Libano e la Caritas Giordania hanno questo tipo di approccio e noi, come Caritas italiana, stiamo cercando di sostenerle.
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