Haiti sull’orlo dell’abisso: allarme della Chiesa non trova risposta
Roberta Gisotti – Città del Vaticano
Restano senza risposta i drammatici appelli lanciati dalla Chiesa di Haiti in aiuto alla popolazione del Paese caraibico, tra i più poveri al mondo, stretta nella morsa del sottosviluppo e dei tumulti sociali, a 9 anni dal terremoto, tra i più catastrofici mai registrati, che coinvolse circa 3 milioni di persone e causò oltre 220 mila vittime e danni ingentissimi.
Sale il clima di violenza generale
“Il Paese è sull’orlo dell’abisso”, hanno ammonito i vescovi haitiani, in una nota diffusa il 13 febbraio scorso, deprecando il clima di violenza generale, che da qualche mese affligge la vita pubblica, con manifestazioni di piazza - duramente represse dalla forze di polizia - contro il governo del presidente Jovenel Moise, in carica dal febbraio 2017, presto contestato sulla politica economica, poi accusato di corruzione dalle opposizioni e d’incompetenza dal popolo, che stremato nell’indigenza, ora ne chiede le dimissioni.
Minacciato il bene comune
“L’ora è seria, aumenta la miseria, il bene comune è minacciato, questa situazione non può durare di più”, hanno avvertito i presuli, appellandosi “alla coscienza dei cittadini dei diversi partiti per una decisione patriottica, anche se sarà a costo di grandi sacrifici”, perché sappiano trovare “una soluzione saggia che tenga conto dei migliori interessi della Nazione e della difesa del bene comune”.
Governo e opposizioni in gara solo per il potere
All’appello dei vescovi si sono uniti, con parole altrettanto gravi, i padri missionari redentoristi che vantano una radicata presenza tra il popolo haitiano, 11 milioni di persone, che sopravvivono per oltre la metà con meno di due dollari al giorno, quattro su dieci disoccupate. “Cio che è peggio” – hanno denunciato, il primo marzo scorso, i redentoristi – è che notiamo con molta tristezza che l’attuale opposizione non si oppone né alla corruzione, che è un cancro per il Paese, né alla disoccupazione, né all’inefficacia dello Stato, né al contrabbando. Il suo unico rimorso è di non essere al potere”. Da qui l’invito rivolto ai protagonisti sociali e politici “ad unire le forze e le intelligenze per salvare la barca comune, che è Haiti”.
Il presidente Moise accusato d’incompetenza e corruzione
Le forti contestazioni popolari al presidente Moise, con decine di morti, numerosi feriti e diffuse devastazioni, sono iniziate nel luglio scorso, quando la capitale Port au Prince fu messa per tre giorni a ferro a fuoco, a seguito del raddoppio del prezzo del carburante, provvedimento poi ritirato, che portò alle dimissioni del primo ministro. A seguire il clima si è surriscaldato per lo scandalo scoppiato circa l’uso fatto anche nei precedenti esecutivi dei fondi ricavati dall’accordo PetroCaribe, stipulato nel 2005, con il Venezuela per l’acquisto di carburante a condizioni favorevoli. Inchiesta che ha messo sotto accusa per corruzione ministri ed ex presidenti ed ha visto indagato lo stesso Moise. La gente in piazza ha così rivendicato con violenza quei fondi che potevano essere usati per progetti di sviluppo e la disperazione è salita negli ultimi mesi con la svalutazione della moneta, il rialzo dei prezzi al consumo e un ulteriore perdita del potere d’acquisto, in un Paese che importa dall’estero il 60 per cento del suo fabbisogno
L’impegno della Chiesa e della Caritas
Una situazione alquanto complessa e precaria sul piano socio-economico che rende però difficile immaginare al momento un’alternativa politica, sottolinea Alessandro Cadorin, coordinatore della Caritas Italiana, da due anni ad Haiti, dove solo la Chiesa sembra ricordare al mondo che esiste questo Paese e le sue gravissime difficoltà.
R. - La Chiesa è un importante soggetto di interlocuzione con le istituzioni e col governo, portando la sua visione, i suoi valori e questo ad Haiti lo sta facendo. Il comunicato ne è un chiaro esempio. Come Caritas italiana noi siamo presenti dal 2010, abbiamo nel tempo implementato più di 200 progetti in diversi settori, dal sociale all’agricoltura. Attualmente stiamo lavorando soprattutto con la Caritas locale in un processo di rafforzamento organizzativo e di progettazione. Insieme abbiamo un programma nel nord-ovest di lotta alla malnutrizione, finanziato dall’Unione europea e sempre attraverso i fondi europei abbiamo un progetto nel dipartimento centrale che è volto a rafforzare le organizzazioni della società civile nella loro azione di interlocuzione e di dialogo con le istituzioni per migliorare le politiche pubbliche. Abbiamo poi un progetto nazionale finanziato con i fondi della Conferenza episcopale italiana, volto a stimolare ed animare le comunità cattoliche per sviluppare delle Caritas parrocchiali. Diciamo che in generale le proposte che noi facciamo sono quelle di attivare, dinamizzare le comunità perché si prendano in carico la responsabilità non solo del proprio futuro ma che lottino anche in parte per far valere i propri diritti.
Ma gli aiuti arrivano da parte della comunità internazionale? Quali sono i bisogni primari?
R. - Il Paese ha dei bisogni enormi. Gli aiuti arrivano purtroppo sempre in momenti di emergenza e purtroppo Haiti salta alla ribalta della cronaca solamente quando succedono grosse catastrofi, che purtroppo accadono spesso; l’ultima è stato l’uragano Matthew di due anni fa. Quindi in generale gli aiuti arrivano in misura minore oggi; quindi arrivano aiuti che ormai non sono sufficienti rispetto ai fabbisogni. Adesso per esempio dopo tutta questa emergenza che è stata soprattutto politica e legata in particolare alle condizioni socio-economiche del Paese che sono strutturali, il Pam sta distribuendo del riso; vengono fatte delle azioni concrete, ma l’intero sistema socio-economico è veramente fragile e precario, per cui gli interventi per il momento sono insufficienti proprio perché l’attenzione su Haiti non è sufficiente soprattutto per stimolare un intervento che non sia semplicemente umanitario di emergenza ma che sia soprattutto di accompagnamento allo sviluppo del Paese, che comunque ha delle risorse. L’agricoltura non è sviluppata, è di sussistenza, ma ha invece delle potenzialità; lo stesso turismo avrebbe delle potenzialità, certo non sufficienti per mantenere l’intera economia, ma sarebbe comunque di grande sostegno al Paese. Penso che sia anche compito della cooperazione internazionale lavorare di più per lo sviluppo del Paese con l’aiuto di tutti.
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