Su nave Jonio, partita politica giocata sulla pelle dei migranti
Federico Piana – Città del Vaticano
Lo sguardo della Chiesa italiana sulla vicenda della nave Mare Jonio, sequestrata dopo aver salvato 50 migranti al largo delle coste libiche e fatti sbarcare a Lampedusa con conseguente scontro politico, prova a sintetizzarla padre Claudio Gnesotto, presidente dell’Agenzia scalabriniana per la cooperazione e lo sviluppo. “Il fatto che tutti siano arrivati sani e salvi ci deve riempire di gioia. Non abbiano dovuto aspettare un tempo infinito, come è accaduto invece per il caso della nave Diciotti” esordisce, aggiungendo che secondo lui questa accelerazione nel far scendere dall’imbarcazione quei disperati provenienti da Guinea, Senegal, Gambia, Camerun e Benin, potrebbe essere un flebile tentativo di un cambio di rotta nella gestione delle politiche migratorie: “Forse è effetto della Quaresima che ci chiama tutti alla conversione. Speriamolo…”.
L’Europa deve riscoprire i valori dell’accoglienza
La pratica del respingimento delle navi cariche di persone in cerca di miglior fortuna, non piace a padre Gnesotto. E’ convinto che non serva a risolvere i problemi che generano le migrazioni, il rischio è quello di arrivare a nascondere la polvere sotto il tappeto: “Non possiamo prendere per buono il racconto secondo il quale con questo tipo di deterrente non arriva più il numero di migranti che arrivava qualche tempo fa e tutto è stato risolto. I dati reali i ci dicono il contrario: la gente continua a morire nel Mediterraneo in percentuale maggiore rispetto agli scorsi anni”. Poi un richiamo all’Europa: “Si deve far carico di pattugliare i mari ed accogliere i migranti, in maniera seria e dignitosa”. Per il religioso altra strada non c’è.
Cambiare la politica delle migrazioni ma salvare le persone
La sensazione, forte, di padre Gnesotto è che si stia giocando una partita politica sulla pelle dei migranti. “Noi cattolici dovremmo far sentire la nostra voce” ammonisce il religioso. Che ammette la necessità di rivedere la politica delle migrazioni ma “non possiamo mobilitarci con forza solo quando c’è da fermare qualche barcone senza tenere conto del fatto che molti dei migranti rispediti indietro poi vanno a finire in centri di detenzione, come ad esempio in Libia. Uno Stato civile come l’Italia non può accettare che anche un solo uomo possa andare a morire in questi posti terribili”.
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