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Ciclone Mozambico. Caritas: un mese dopo è ancora emergenza

Per Fabrizio Cavalletti (Ufficio Africa Caritas italiana) un mese dopo il ciclone Idai, in Mozambico, Zimbabwe e Malawi è ancora pienissima emergenza. Serve solidarietà continuativa che guardi già al domani e al dopodomani

Fabio Colagrande - Città del Vaticano

A un mese dal ciclone tropicale che ha colpito una vasta area tra Mozambico, Zimbabwe e Malawi, il bilancio della catastrofe è purtroppo ancora provvisorio. Lo rende noto in un comunicato Caritas italiana, precisando che, nel solo Mozambico, sono quasi un migliaio i morti accertati, ancora centinaia i dispersi, duecentoquarantamila le case danneggiate e cinquecentomila gli ettari di coltivazioni andati perduti. La Caritas, grazie al contributo di 1 milione di euro della Conferenza Episcopale Italiana, dopo un primo stanziamento a sostegno di Caritas Mozambico, ha ampliato in questi giorni l’impegno sul versante dell’aiuto d’urgenza, mentre sono in fase di studio interventi di ricostruzione e riabilitazione.

Effetti di medio e lungo periodo

“Il ciclone Idai, un mese fa, ha colpito una vasta area dell’Africa centro-orientale, tra cui Beira, la seconda città del Mozambico”, ricorda ai microfoni di Radio Vaticana Fabrizio Cavalletti dell'Ufficio Africa di Caritas italiana. “Il 90% delle abitazioni e delle strutture di questa città costiera sono danneggiate e molte sono completamente distrutte, quindi possiamo parlare di un evento devastante che avrà effetti di medio e lungo periodo. Ancora oggi, infatti, le acque si stanno ritirando molto lentamente dalla terra ferma e c’è tra l’altro un’epidemia di colera in corso dovuta alle precarie condizioni igienico-sanitarie provocate dalle alluvioni e sono in aumento i casi di malaria”. “Ancora adesso – conferma l’operatore Caritas – siamo ancora in pienissima emergenza, in una fase in cui non c’è un numero accertato di morti, per le tante persone disperse, e ci sono zone difficilmente accessibili. Una situazione molto preoccupante”.

Serve solidarietà continuativa

“Quello che ci sta più a cuore – aggiunge il coordinatore dell’ufficio Africa di Caritas italiana – è trovare sostegno per la ricostruzione e la riattivazione delle attività produttive”. “Come Caritas stiamo infatti cercando di sostenere la Caritas locale ed altre realtà negli aiuti più urgenti: perché questo è evidentemente il bisogno immediato”. “Mi riferisco alla distribuzione di teloni impermeabili, ripari d’urgenza, kit igienico-sanitari, sanitari, materiale medico, assistenza agli sfollati, cibo. Ma – spiega ancora Cavalletti – c’è un bisogno grande di una solidarietà continuativa che non si fermi all’ora, ma guardi già al domani e al dopodomani”. “Il ciclone ha infatti prodotto danni che avranno effetti sul lungo periodo: sono state devastate le coltivazioni, distrutte le infrastrutture e le abitazioni. Quindi ci sarà bisogno di uno sforzo enorme di ricostruzione e riabilitazione, anche perché queste tre comunità, nei tre Paesi, erano già molto vulnerabili, povere. Non si tratta di un ciclone che ha colpito il Giappone, o l’Italia, l’Europa o gli Usa, ma Paesi che erano già in condizioni dio povertà”.

La doppia ingiustizia ambientale

“Non dobbiamo poi nascondere – conclude l’operatore di Caritas Italia – le nostre responsabilità. È chiaro che questi cicloni non possono essere imputati esclusivamente ai cambiamenti climatici, ma certamente questi ultimi hanno un effetto sulla loro intensità e sulla loro frequenza e chi ne paga più le spese sono i paesi più poveri che meno hanno contribuito al riscaldamento globale. È un elemento di ingiustizia ambientale che andrebbe sempre ricordato quando si parla di queste catastrofi”. “Spesso ci sono critiche e scetticismi sulle battaglie ambientaliste contro i cambiamenti climatici, ma ci si dimentica che chi paga le conseguenze di questi ultimi sono i più poveri. C’è una sorta di doppia ingiustizia: chi è meno responsabile del riscaldamento globale ne paga di più le conseguenze. Inoltre gli stessi poveri sono anche i più vulnerabili, visto che le catastrofi hanno effetti meno gravi su popolazioni che hanno un livello di ricchezza e sviluppo maggiori rispetto ad altri”.

 

Ascolta l'intervista a Cavalletti

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18 aprile 2019, 14:09