Niger: ancora incerte le sorti di padre Pier Luigi Maccalli, missionario rapito
Michele Raviart – Città del Vaticano
La notte del 17 settembre 2018 un gruppo di uomini armati faceva irruzione nella casa di padre Pier Luigi Maccalli, parroco di Bomoanga, a pochi chilometri dal confine tra il Niger e il Burkina Faso. Dopo avergli intimato di seguirlo e aver rubato i suoi effetti personali, i rapitori lo hanno fatto salire su un veicolo e hanno attraversato la frontiera. Da allora non è più pervenuta nessuna notizia ufficiale sulle sorti del religioso della Società delle Missioni Africane.
Un uomo di dialogo
“La nostra preghiera è che possa essere liberato il più presto possibile; che dove è trattenuto sia trattato bene; che sia rispettato come missionario, come prete e come persona che ha dato la vita alla missione e al Niger”, afferma a Vatican News padre Marco Prada, missionario della Sma. "Padre Gigi - ricorda - è sempre stato un uomo di dialogo, un uomo aperto”, che non ha mai fatto differenza tra le persone quando avevano bisogno, quando gli chiedevano aiuto. “Noi speriamo che chi lo ha rapito capisca il male che sta facendo e vada incontro a tutti coloro che stanno cercando sia a livello governativo del Niger sia a livello del ministero degli Esteri italiano, di stabilire dei ponti per trattare la sua liberazione”, afferma padre Marco.
L’impegno per la salute dei bambini
La zona di Bomoanga, nel sud-ovest del Niger, è abitata dall’etnia Gourmantché, che al 30% è cristiana e vive divisa tra i confini di Niger, Burkina Faso, Togo e Benin. Ancora ignota è poi l'identità dei rapitori, che non hanno rivendicato il gesto, anche se si sospetta facciano parte di uno dei tanti gruppi di jihadisti che operano in quell'area dell'Africa subsahariana. A Bomoanga padre Pierluigi era molto impegnato soprattutto nel campo della salute, ricorda ancora padre Prada, che ancora non riesce a spiegarsi perché padre Maccalli sia stato rapito: “aveva fatto costruire un laboratorio e poi aveva lanciato un centro nutrizionale che aiutava parecchi bambini, poi era impegnato anche per quanto riguarda lo scavo di pozzi, aveva costruito diverse scuole. Nei villaggi, la popolazione lo amava molto, cristiani e musulmani”.
Il ricordo del fratello Walter ad Acs
“Pier Luigi”, racconta ad Aiuto alla Chiesa che soffre padre Walter Maccalli, fratello del religioso rapito e anch’egli missionario in Africa, “è un missionario generoso, disponibile a dare tutto, sensibile ai problemi delle persone ammalata, soprattutto bambini e neonati, con la speranza di poter dare loro cura e conforto”. Padre Walter, che ha sentito il fratello l’ultima volta due giorni prima del rapimento, ricorda poi i momenti trascorsi con il fratello. “L’ultimo tempo passato insieme risale all’estate scorsa: io mi preparavo alla nuova esperienza di missione in Liberia, mentre lui mi ha confidato la difficoltà ad accettare alcune esperienze negative, come la morte di Miriam, una bambina nigerina morta ad 11 anni, nonostante Pier Luigi fosse riuscito ad farla venire in Italia per un’operazione al cuore al Bambin Gesù. Questo fatto l’aveva veramente scosso”.
La solidarietà in Italia e in Niger
A sette mesi di distanza dal rapimento, mentre in Niger molte parrocchie chiudono per ragioni di sicurezza a causa dell’intensificarsi delle incursioni dei jihadisti, non mancano le manifestazioni di solidarietà per padre Pier Luigi, a partire dal suo paese natale, Madignano, in provincia di Cremona. “Siamo davvero stupiti di quante persone si sono sentite davvero toccate da questo avvenimento e continuamente si uniscono a noi nella preghiera”, ricorda ancora padre Marco Prada. Nella diocesi di Crema, ad esempio, ogni 17 del mese c’è una veglia di preghiera o una marcia per ricordare padre Maccalli. “Poi bisogna citare soprattutto il Niger”, sottolinea padre Marco, “dove i confratelli ci dicono che diventa quasi spontaneo da parte della comunità musulmana, dei cristiani di altre chiese, unirsi ai cattolici quando organizzano una preghiera, una veglia, una marcia, un’attività. Si presentano spontaneamente dicendo: noi ci uniamo, perché questo avvenimento non colpisce solo voi ma anche noi tutti. Gli stessi musulmani vogliono far capire che non sono da associare a questo rapimento, al contrario loro stesso si oppongono a ogni forma di manifestazione di violenza verso persone di Chiesa, verso uomini di Dio e non vogliono che la religione sia utilizzata come uno strumento per fini politici”.
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