Sri Lanka: il volto del Paese si riflette in quello delle vittime
Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
Gli attentati compiuti in Sri Lanka, rivendicati dal sedicente Stato islamico, sono uno squarcio nella storia di un Paese che piange per le vittime della strage, soprattutto cristiani e stranieri. Le esplosioni hanno distrutto intere famiglie mentre pregavano e partecipavano alla Santa Messa nella solennità della Pasqua.
Famiglie distrutte
I giornali srilankesi e fonti locali ricordano volti e storie. Restano solo le foto di un’intera famiglia composta da un padre, una madre e tre figli, di cui uno di 11 mesi. Sono morti in seguito all’attacco nella chiesa di San Sebastiano a Negombo dove hanno perso la vita, insieme ai lori amici cristiani, anche due bambini musulmani. In questa chiesa sono deceduti anche una donna australiana e sua figlia di dieci anni. Poco prima dell’attentato, il marito della donna e padre della piccola si era avviato verso l'uscita. Poi ha sentito un boato. Poco dopo, ha visto i corpi della moglie e della figlia scaraventati a terra dall’esplosione.
Strage di bambini
Il piccolo Zayan aveva 8 anni, un sorriso irresistibile e due occhioni verdi. Stava mangiando con i genitori quando è stato investito in un albergo di Colombo da una potente deflagrazione. Sneha aveva 12 anni ed è morta nella chiesa di San Sebastiano a Negombo mentre era in fila per ricevere la Comunione. Due ragazzini inglesi, Annabel e Alex, hanno perso la vita per l’attacco sferrato nell'hotel Shangri-La. Tra le vittime c’è anche una bambina che frequentava una scuola elementare di Washington. Era in Sri Lanka per un semestre scolastico.
Sogni infranti
Sono stati per sempre spezzati i progetti di un giovane portoghese, che dopo il matrimonio aveva scelto il Paese asiatico per il proprio viaggio di nozze. Ha trovato la morte nel bar di un albergo di Colombo davanti agli occhi della moglie, che invece si è salvata. Nella Chiesa di San Sebastiano a Negombo sono morti anche un tassista, sua moglie e le loro due bimbe. Ai parenti l’uomo aveva da poco espresso la propria gioia per l’acquisto di una nuova auto, per l’inizio di una nuova importante tappa nella sua vita lavorativa.
La storia di Ramesh
Tra le storie legate agli attentati compiuti nel giorno di pasqua in Sri Lanka c’è anche quella di Ramesh un operaio 40.enne di Batticaloa. Ha visto un uomo con un grande zaino sulla schiena. Voleva entrare nella chiesa di Zion a Batticaloa poco prima della Messa. Aveva riferito di avere nello zaino una telecamera con cui voleva riprendere alcuni momenti della funzione religiosa. Ma Ramesh gli ha impedito di entrare spiegando che era necessario un permesso. L’uomo allora si è allontanato mentre i figli di Ramesh entravano in chiesa. Dopo pochi istanti l’attentatore si è fatto esplodere uccidendo 28 persone, tra cui Ramesh. In chiesa c’erano oltre 400 persone.
Timori e tensioni
Questi giorni sono segnati da forti timori e dall’incubo di una nuova guerra civile. La comunità cristiana teme nuovi attacchi kamikaze. I musulmani temono di diventare bersaglio di scontri e violenze. Servizi di intelligence hanno rivelato, in particolare, che potrebbero essere attaccate moschee dove pregano musulmani sufi. Oggi la capitale Colombo è una città blindata e presidiata da un massiccio dispiegamento di forze di sicurezza. Il ministero degli Affari Islamici srilankese ha invitato i musulmani a pregare a casa piuttosto che partecipare alle preghiere comuni del venerdì. Alle donne musulmane è stato inoltre chiesto di non portare il velo in pubblico. A Colombo molte chiese restano chiuse. Forti tensioni si registrano anche a Negombo dove hanno lasciato le loro case almeno 700 persone della comunità ahmadi, un gruppo minoritario islamico perseguitato in Pakistan.
Il futuro dopo l’orrore
Oltre alle storie di dolore e di morte legate agli attentati, ci sono anche immagini e parole che oggi rappresentano, più di altre, la vita e il futuro dello Sri Lanka. Sono le immagini delle lunghe file di musulmani in coda, dopo gli attentati, per donare il sangue. Sono le parole pronunciate, dopo gli attacchi, da imam locali. In particolare hanno ricordato che l’islam non insegna ad uccidere. Questo - hanno sottolineato - è contrario alla fede islamica. Il presente, come ricorda la Chiesa locale, è quello di una comunità di cattolici scossa, ma paziente nonostante gli attentati. Il futuro è legato soprattutto alla convivenza, al composito mosaico di un Paese unito, nonostante le differenze. In questa prospettiva, si inseriscono varie iniziative di preghiera, che lungo il solco del dialogo interreligioso, uniscono cristiani, musulmani, buddisti e indù.
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