P. Braghini al Villaggio per la Terra: per salvare l'Amazzonia occorrono scelte concrete
Adriana Masotti - Città del Vaticano
Termina oggi negli spazi del Galoppatoio di Villa Borghese a Roma, la manifestazione “Villaggio della Terra”, promossa da Earth Day Italia e dal Movimento dei Focolari, con centinaia di altri partners, in occasione della Giornata Mondiale della Terra che si tiene il 22 aprile di ogni anno. Tra i temi in programma uno ancora poco esplorato e cioè le conseguenze del cambiamento climatico sulla nostra salute. Centrale nei gionri scorsi è stato anche un talk show sull'Amazzonia organizzato in collaborazione con il Cortile dei Gentili del Pontificio Consiglio della Cultura, e ispirato all'Anno internazionale delle lingue indigene dell'UNESCO, ai temi del Sinodo dei Vescovi che Papa Francesco ha indetto per il prossimo ottobre, e nel 50° anniversario di Survival International.
La regione amazzonica strategica per la vita del Pianeta
Secondo i dati forniti dall’organizzazione ambientalista WWF, l'Amazzonia rappresenta il più vasto bacino fluviale del pianeta: 1 milione di kmq di ecosistemi legati alle sue acque dolci che rappresentano il 17-20% di quelle totali del pianeta. La foresta tropicale amazzonica che si estende per 6,7 milioni di kmq e ospita il 10% delle specie viventi conosciute, trattiene al suolo tra i 90 e i 140 miliardi di tonnellate di carbonio, il 10% del totale globale. Ma non solo piante e specie animali: la Repam – Rete Ecclesiale PanAmazzonica riferisce che nella regione vivono 35 milioni di persone e circa 2,8 milioni di indigeni appartenenti a 390 distinte popolazioni, oltre un centinaio delle quali sono ancora isolate. 240 le lingue parlate.
Il talk show: "Amazzonia, foresta di culture"
L’evento ospitato nell'Area Meeting del Villaggio ha avuto per titolo: “Amazzonia, foresta di culture”. Sono intervenuti Kathleen Rogers, presidente Earth Day Network, il card. Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei Vescovi, padre Laurent Mazas, del Pontificio Consiglio della Cultura, il Rafael Padilha, giurista e umanista dell'Università di Vale do Itajaì (Brasile), Francesca Casella, direttrice italiana di Survival International e padre Paolo Braghini, della Custodia di Amazzonia dei Minori Cappuccini dell'Umbria, testimone diretto delle popolazioni amazzoniche del bacino del fiume Solimoes. Tramite video hanno offerto un contributo anche il cardinale Claudio Hummes, presidente della Rete Ecclesiale Pan Amazzonica e alcuni rappresentanti dei popoli amazzonici.
Prendersi cura del Creato e delle popolazioni amazzoniche
I partecipanti si sono interrogati su che cosa significhi prendersi cura delle diversità culturali e su come vivere in positivo la comunità globale. L’area Amazzonica rappresenta uno dei principali palcoscenici in cui si scontrano visioni della Terra opposte: da una parte l’atteggiamento predatorio verso l’ambiente naturale, strettamente legato alla mancanza di rispetto per culture considerate “inferiori”; dall’altra l’impegno dei suoi abitanti e di molte organizzazioni, come anche la Chiesa, per la difesa della natura e delle identità locali. Una regione simbolo, dunque. E’ ciò che conferma, ai nostri microfoni, padre Paolo Braghini, uno dei protagonisti del talk show che si è concluso con la piantumazione di un piccolo albero, donato dai Carabinieri Forestali, dedicato all'Amazzonia e alla bellezza di tutti i popoli, con protagonisti i giovani di Scholas Occurrentes.
R. – Sì, si è parlato dell’Amazzonia sicuramente per la difesa, la protezione della natura e del creato, ma anche dei popoli che vivono l’Amazzonia. L’Amazzonia è immensa e raccoglie innumerevoli popoli, indios di varie etnie, di varie culture, varie lingue… C’era con noi una ragazza indios e la sua presenza ha dato ancora più valore a questo incontro. E’ una regione simbolo perché raccoglie una grande diversità non solo a livello naturale e scientifico, perché è una terra ancora molto inesplorata, ma principalmente per le culture, la diversità etnica. E in questo mondo così globalizzato, accelerato, c’è la tentazione molte volte di livellarci tutti, quando invece questi popoli indios ci ricordano ancora quanto è bella la differenza, ma anche quanto è a rischio e questa ragazza ha alzato un grido, un grido di aiuto, ha detto: aiutateci a difendere i nostri popoli, i nostri diritti, la nostra terra, non lasciateci morire. Un grido molto forte.
Ma che cosa minaccia la regione amazzonica oggi?
R. – Le minacce sono molte: sicuramente è una riserva naturale enorme, preziosissima che molte volte dal mondo è guardata con uno sguardo di sfruttamento. Quindi le multinazionali, le imprese, i governi guardano ad essa come a un potenziale per ricavarne guadagno. Mentre i popoli indigeni la guardano come la loro casa che deve essere difesa e protetta. Questa è la grande minaccia, stanno entrando sempre più multinazionali, alla ricerca di petrolio, di gas, di estrazione dell’oro, anche per ricerche scientifiche però invadendo questi villaggi e anche i grandi progetti nazionali, come le dighe per l’energia pulita, a volte, distruggono interi villaggi. Quindi la minaccia è proprio questa: il mondo guarda l’Amazzonia come fonte di guadagno e non guarda con gli occhi di chi lì ci vive ed è la sua casa.
Anche lei vive lì, vero?
R. – Sì vivo lì ormai da più di 15 anni, insieme a un popolo, una tribù, gli indios di Ticunas. Noi cappuccini, ormai da quasi 100 anni, siamo in questa regione amazzonica e da più di 20 anni stiamo vivendo con questa tribù. Questo villaggio, insieme agli altri 70 villaggi che seguiamo di questa etnia e anche di un’altra, è la nostra casa e ci appelliamo alla società insieme agli indios con cui viviamo.
Voi condividete anche l’allarme e le preoccupazioni della vostra gente?
R. – Sì. In questi giorni nella capitale del Brasile c’è un accampamento di un migliaio di leader, di capi tribù che stanno facendo una protesta perché il governo vuole ridurre le terre degli indigeni proprio per avanzare con l’agricoltura intensiva, l’allevamento, distruggendo la foresta. Il governo si sta lasciando portare da uno sguardo economico senza guardare le popolazioni che lì vivono da migliaia di anni e custodiscono la foresta.
Nell'ottobre prossimo ci sarà il sinodo dei vescovi sull’Amazzonia, voi aspettate questo momento?
R. – In realtà lo stiamo vivendo ormai da molto tempo perché il Sinodo, questa è una cosa bella da far sapere, è cominciato proprio alla base. Io mi sono fatto portavoce di vari gruppi di indios che sono stati interpellati dal Sinodo per rispondere a varie domande anche per far sapere alla Chiesa quello che vorrebbero dalla Chiesa, oggi, in Amazzonia. Loro sono stati i primi interpellati, io sono stato proprio insieme agli indios, scrivendo queste risposte degli indios e mandandole alle Commissioni che lavorano per il Sinodo. Quindi ad ottobre ci sarà il momento finale del Sinodo, ma il Sinodo è cominciato molto prima in quasi tutti villaggi indios dell’Amazzonia.
Ma noi che cosa possiamo mettere in atto nella nostra vita quotidiana per mostrarci sensibili ai problemi dell’Amazzonia?
R. – Tutti noi dobbiamo cambiare il nostro stile di vita con uno stile che rispetti la natura, possibilmente produrre il meno possibile scarti, usare meno la plastica, usare il riciclabile, perché per poter mantenere questo nostro stile di vita consumista dobbiamo distruggere la natura e i popoli dove ancora non è contaminata! Dovremmo invece fare tutti un passo indietro e adottare scelte più ecologiche. Questo sicuramente è un modo per sentirci in comunione con i popoli che stanno soffrendo questa invasione e anche pregare per i popoli indios e per i missionari che vivono con loro, perché possiamo fare le scelte giuste in questo momento delicato della storia e della Chiesa.
Ultimo aggionramento il 29/04/2019 ore 19.14
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