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 Manifesto del Convegno sull'Intelligenza artificiale Manifesto del Convegno sull'Intelligenza artificiale 

Intelligenza artificiale: serve al bene comune o ha altri interessi?

Porte aperte, venerdì 17 maggio, alla Pontificia Università Salesiana a Roma per dibattere di intelligenza artificiale, pro o contro l’uomo? Intervista a Fabio Pasqualetti, decano della Facoltà di Scienze della comunicazione sociale

Roberta Gisotti - Città del Vaticano

Esperti, accademici e professionisti, educatori e comunicatori, insieme ad appassionati di nuove tecnologie e cittadini comuni sono stati chiamati a partecipare al Convegno “Intelligenza artificiale e computer quantistici”, promosso dalla Pontificia Università Salesiana (Ups) e dalla Federazione relazioni pubbliche italiana (Ferpi).

Quale rapporto tra il pensare umano e l’agire artificiale?

Sono tante le domande e le questioni da porre per capire e fare il punto sulla cosiddetta intelligenza artificiale e sulle applicazioni possibili o immaginabili dei nuovi computer quantistici, appena sdoganati all’uso commerciale e scientifico. Anzitutto ci si interroga sul quale ruolo giochi la persona nella sua unicità in questo sviluppo tecnologico e quale sia il rapporto tra il pensare umano e l’agire artificiale, se in conseguenza o in autonomia? E’ questo un tema di scottante attualità, non più rinviabile nel dibattito pubblico. La gente non è infatti informata abbastanza su cosa sta accadendo nella loro vita, come spiega il prof. Fabio Pasqualetti, decano della Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale, che ha organizzato l’evento insieme alla Ferpi-Lazio.

Ascolta l'intervista a Fabio Pasqualetti

R. – Credo che faccia parte del nostro compito, prima di tutto prenderne conoscenza e coscienza noi stessi, perché tutto sta avvenendo così velocemente, e accadendo sotto ai nostri occhi che davvero a volte è difficile rendersi conto di come sta mutando il nostro mondo. Più che un cambiamento, è in atto una metamorfosi e le metamorfosi sono quei processi che spiazzano, che cambiano tutti i parametri, non ci sono categorie soddisfacenti per interpretarli e noi stessi le subiamo. Per cui, da questo punto di vista sì, il tentativo è di capire prima di tutto cosa è questa intelligenza artificiale senza demonizzarla a priori. Di per sé, l’intelligenza artificiale è infatti già usata ampiamente, basti pensare a tutto il traffico aereo e autostradale e alla meteorologia dove vi sono sistemi di algoritmi programmati proprio per aiutarci a gestire la complessità. Questi procedimenti,  si stanno però allargando ormai a tutti i campi della vita e del sapere dell’uomo e questo sarà, credo, la prossima frontiera di sfida per la nostra vita stessa.

Al momento, come pesano i piatti della bilancia tra vantaggi ottenuti e sfide da cogliere?

R. – Indubbiamente, l’intelligenza artificiale e soprattutto quella determinata a compiti specifici va ad assolvere lavori che un tempo richiedevano, ad esempio, la cosiddetta routine. Diciamo che là dove c’è un codice da soddisfare, l’intelligenza artificiale diventa una soluzione molto pratica, veloce e anche – da un certo punto di vista – economica. C’è un libro di Jerry Kaplan intitolato in maniera un po’ preoccupante “Le persone non servono: lavoro e ricchezza nell’epoca dell’intelligenza artificiale”. E’ evidente che se noi prendiamo ad esempio ambiti di lavoro dove vengono fatte azioni di routine, in quei casi la robotizzazione gestita da algoritmi di intelligenza artificiale sollevano l’uomo dalla fatica fisica. Ma è altrettanto evidente che questo si sta allargando anche a tutti quei servizi tipici della fatica anche cognitiva: come servizi di segretaria, o anche nel campo diagnostico e addirittura nel campo giuridico; quindi questo obbliga a ripensare e a riprogrammare il senso del vivere e soprattutto, a riprogettare che cos’è la nostra socialità.

C’è il rischio, in qualche modo, di inebriarsi delle opportunità e il rischio più grande che l’intelligenza artificiale si ritorca contro l’umanità?

R. – Io credo che dietro ad ogni progetto di intelligenza artificiale ci siano, ovviamente, poteri economici ed interessi e quindi quello che sarebbe importante è capire se abbiamo un progetto, una visione di futuro non solo per alcuni piccoli settori della vita economica o sociale o addirittura territoriale, ma se vogliamo prendere in considerazione una visione del mondo. Da parte mia, quello per cui a volte rimango sconcertato è che abbiamo strumenti altamente efficaci, potenti eppure ciò che noi chiamiamo sviluppo o progresso in realtà ci ha portato davanti ad un pianeta in crisi sotto vari punti di vista – ecologico, economico, sociale – con un divario sempre più forte tra ricchi e poveri. Per cui mi domando come mai non mettiamo i nostri sforzi nella prospettiva di progettare un mondo più abitabile, più vivibile per tutti e quindi magari anziché ipotizzare grandi punti di eccellenza che creeranno divari molto forti, non pensare a risolvere anche problemi molto concreti come la salvaguardia del nostro pianeta e la ridistribuzione ottimale delle risorse, per far sì che tutte le persone possano vivere una vita degna?

Quindi bisogna sicuramente evitare di affidarci ciecamente con ingenuità ad un’intelligenza artificiale che potrebbe essere pilotata?

R. – L’intelligenza artificiale è un artefatto dell’uomo: dietro ci sono sempre decisioni politiche ed economiche. Credo quindi sia evidente che possa essere messa al servizio dell’umanità come possa essere messa al servizio di poteri che hanno altri interessi: questo è ciò che bisognerebbe evitare. Se le nostre intelligenze, le nostre forze tecnologiche, scientifiche ed economiche fossero messe davvero a servizio dell’umanità, io credo che non bisognerebbe avere paura dell’intelligenza artificiale, se non va a coltivare altri interessi. Ad esempio, sappiamo benissimo che viviamo in un capitalismo della sorveglianza, dove le grandi multinazionali della rete hanno in mano tantissimi nostri dati e questo di per sé sappiamo che è finalizzato ad un marketing personalizzato, ma potrebbe essere – a volte capita – che i nostri dati non siano usati correttamente: questo è ciò che preoccupa. Ma qui deve intervenire la politica, deve intervenire la società, deve prendere conoscenza e coscienza e quindi rivendicare anche i propri spazi di diritto sulla privacy e su come si gestiscono questi dati.

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14 maggio 2019, 07:00