Denis Mukwege, "l'uomo che ripara le donne", oggi all'udienza generale
Jean Pierre Bodjoko e Adriana Masotti - Città del Vaticano
Nato a Bukavu, nella Repubblica Democratica del Congo il 1° marzo 1955, Denis Mukwege è ormai noto in tutto il mondo. Ha studiato medicina prima in Burundi, poi in Francia specializzandosi in ginecologia e ostetricia. Rientrato in patria, ha fondato nel 1998 a Bukavu il "Panzi Hospital", per la cura delle donne vittime di stupro, una vera piaga nel suo Paese. Oltre 40 mila le ragazze e le donne congolesi da lui curate, finora. E' considerato il massimo esperto mondiale nella riparazione dei danni fisici e psicologici causati dalle violenze di tipo sessuale. Per la sua battaglia in difesa dei diritti umani, nel 2014 è stato insignito dal Parlamento europeo del Premio Sakharov e nel 2018 ha ricevuto il Premio Nobel per la pace.
L'attività di Mukwege per le donne vittime delle violenze
Non solo cure mediche, però, l'ospedale che il dottor Mukwege dirige aiuta le donne a sviluppare nuove competenze per guadagnarsi da vivere, dal momento che molte di loro dopo gli stupri vengono escluse dalle comunità. Le ragazze sono aiutate a tornare a scuola e viene offerta consulenza legale per quante decidono di rivolgersi alla giustizia. Per l'impegno che ha assunto nei loro riguardi viene chiamato anche "l'uomo che ripara le donne". Il dottor Mukwege svolge anche un'intensa opera di sensibilizzazione nel suo Paese e all'estero, per la difesa dei diritti delle donne e per porre fine alle violenze nella Repubblica democratica del Congo. L'ospedale è situato nella provincia del Sud Kivu, una zona povera e instabile a causa dei conflitti etnici alimentati dal traffico illegale delle immense ricchezze minerarie nel suo sottosuolo. I conflitti armati sono frequenti come gli attacchi ai civili, inclusi gli stupri di gruppo utilizzati come arma di guerra per ricattare e piegare la popolazione.
Mukwege: rispettare le donne per rimettersi in moto
Il dottor Mukwege è sfuggito nel 2012, ad un attacco a opera di uomini armati a distanza di qualche settimana dal suo intervento alle Nazioni Unite dove aveva denunciato la situazione nella regione e i responsabili delle violenze. Costretto a rifugiarsi con la famiglia in Europa, nonostante le continue minacce, un anno dopo è tornato nella Repubblica Democratica del Congo per seguire ancora l'attività dell'ospedale. Oggi il breve incontro con Papa Francesco di cui parla così ai microfoni di Vatican News:
R. - Credo che sia stato un incontro ricco. E’ un Papa che conosce molto bene i problemi del mio Paese e che si interessa alle persone svantaggiate, alle persone povere e a quelle più umili. Quando si guarda a tutti i principi difesi dal Vaticano, come il rispetto della dignità umana, ciò risulta molto importante. Credo che insegnare alle persone questi valori di amore, questi valori di considerare l’essere umano creato a immagine di Dio, questa dignità che noi dobbiamo avere, credo che questo sia un grande valore che stiamo perdendo e bisogna assolutamente trovare i mezzi e collaborare con altri uomini di Dio che credono a questi valori che Dio ha dato all’uomo.
Che posto occupano oggi le donne nella sua vita e nel suo lavoro di ginecologo, specialmente le donne che hanno subito violenza? Viene definito “il medico riparatore delle donne”...
R. - Credo che le donne abbiano bisogno di essere rispettate e credo che per rispettare le donne bisogna innanzitutto considerarle uguali a noi uomini. Penso che sia la differenza che noi facciamo tra l’uomo e la donna che permette di considerare la donna come un essere inferiore e in questo modo si entra nel processo anche della sua distruzione, dimenticando completamente che è uguale a noi e che è il nostro “faccia a faccia" e che Dio l’ha creata a sua immagine. Penso che la nostra società congolese non potrà mettersi in moto se non si dà alla donna il posto che merita. Le donne sono ovunque, al supermercato, nei trasporti, nel commercio… Fanno un sacco di cose e purtroppo si accetta il loro lavoro, ma non le si accetta quando si tratta di fare la ripartizione dei prodotti del loro lavoro e penso che questo sia il torto che facciamo loro. Secondo me oggi è molto importante che in Congo, in Africa e nel mondo – perché non c’è nessun Paese che prevalga nel mondo per quanto riguarda il rispetto dell’uguaglianza tra uomo e donna - penso che per noi congolesi e per l’Africa, dobbiamo assolutamente dare alle donne il loro posto per rimetterci in moto.
Lei ormai non è più semplicemente un congolese, un africano, ma un cittadino del mondo, in seguito all’attribuzione del Premio Nobel per la Pace che si aggiunge ad altri premi che lei ha già ricevuto in passato. Questo riconoscimento a livello mondiale aggiunge qualcosa al suo lavoro?
R. - Sono medico ginecologo, ostetrico. Lavoro molto, eseguo molti interventi chirurgici. Ma da più di otto anni, dopo aver “vissuto” in sala operatoria dove curavo le madri, le loro figlie e ho iniziato a curare i loro bambini… Tutto questo non è accettabile per me. È per questo motivo che ho lasciato la sala operatoria per cercare semplicemente di sensibilizzare il mondo su ciò che succede nella Repubblica Democratica del Congo. Si deve fare in modo che la gente non dimentichi che questo Paese è martirizzato da più di 20 anni! Questo Paese ha perso più di sei milioni di persone, spesso a causa di massacri, della fame o dell’assenza di cure… Ma sei milioni di persone è un numero enorme! E ci sono centinaia di migliaia di donne che hanno subito violenza. Penso che sia necessario rendersi conto che questa situazione è molto grave. Prima passavo il 25 percento del mio tempo per cercare di far sapere al mondo ciò che accade qui ma oggi, con il Premio Nobel, passo un po’ più del 50 percento del mio tempo a lanciare appelli. Penso che sarà un breve periodo, ma spero tanto che insieme - i congolesi con tutti i loro amici e le persone che pregano e agiscono per noi - un giorno potremo dire finalmente che il Congo è un Paese in pace, dove i bambini possono crescere senza aver paura della morte, senza aver paura di non poter andare a scuola.
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