Parroco di Lampedusa: dormo in strada per chiedere lo sbarco dalla Sea Watch
Federico Piana - Città del Vaticano
La voce è rotta dall’emozione e dalla stanchezza ma trasuda forza d’animo e determinazione: “Da ieri sera, sto dormendo sulla piazza della città e lo farò fino a quado i 42 migranti della nave Sea Watch non verranno portati in un luogo sicuro". Don Carmelo La Magra, parroco di San Gerlando a Lampedusa, non si dà per vinto. "Ora l’imbarcazione è ferma da otto giorni a 15 miglia dalle nostre coste - prosegue - e insieme a me ci sono molte persone della mia comunità parrocchiale, della Federazione delle Chiese Evangeliche e non credenti.
Non è una protesta, è un gesto di condivisione e di solidarietà con chi non ha nulla”. Don Carmelo fa una breve pausa di riflessione. Il suo pensiero va alla giornata internazionale di oggi dedicata ai rifugiati e alla preghiera ecumenica di questa sera per i migranti organizzata a Roma, nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, da cattolici ed evangelici. “La preghiera è speranza. Ed è proprio la speranza che spinge migliaia di persone ad abbandonare i propri paesi in cerca di una vita migliore. Però molto spesso di speranza si muore. Il nostro mare pieno di cadaveri ne è testimone”.
Nonostante i proclami della chiusura dei porti, a Lampedusa i migranti continuano ad arrivare…
R. – Da quando le navi delle Ong sono state ostacolate nella loro opera di salvataggio, i migranti tentano di arrivare in modo autonomo, con barche di fortuna. Solo ieri ne sono sbarcati più di 50. Ovviamente, tutto ciò è rischioso per la vita. Nei primi sei mesi di quest’anno gli arrivi si contano a centinaia.
Sbarchi che vengono passati sotto silenzio. Perché?
R. – Parlarne potrebbe essere interpretato come un segnale di debolezza. Quando si sbandiera la teoria dei porti chiusi e poi arrivano autonomamente nelle acque italiane decine di immigrati, è chiaro che la narrazione non regge più. In questi casi la Guardia Costiera non può fare altro che salvarli, applicando il diritto del mare. E poi c’è un motivo tecnico: le imbarcazioni singole sono meno controllabili.
Chi sono i migranti che lei ha potuto guardare negli occhi?
R. – Ho incontrato spesso giovani , donne, famiglie. Persone perseguitate anche per motivi religiosi, non solo cristiani ma anche musulmani. Gente che ha abbandonato il proprio paese a causa di una guerra. E’ vero, come lamenta qualcuno, che non vediamo arrivare i poveri smagriti stereotipati dei documentari dell’Africa. Ma bisogna rendersi conto di un fatto: affrontare questi viaggi richiede una forza fisica non indifferente. Come anche sopportare le torture alle quali vengono spesso sottoposti, in Libia soprattutto.
Certamente scappare dalla propria terra non è un capriccio…
R. – Ho visto con i miei occhi e sentito raccontare atti di tortura allucinanti. Chi affronterebbe tutto questo mettendo a repentaglio la propria vita se non fuggisse da una situazione peggiore, cercando di ottenere libertà e futuro?
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui