Le prostitute non sono donne libere
Federico Piana- Città del Vaticano
Esulta e pensa al suo fondatore, quel don Oreste Benzi che ha speso la vita a tirar via dalla strada migliaia di ragazze cadute nella rete della prostituzione per ridonargli nuova vita. “Oggi anche per lui sarebbe una giornata memorabile, da festeggiare”. Giovanni Paolo Ramonda, responsabile della Comunità Papa Giovanni XIII, ribadisce con orgoglio la vittoria di una battaglia combattuta senza quartiere contro la tratta delle donne: la Corte Costituzionale, su sollecitazione della Corte d’appello di Bari, ha stabilito che 'vendere sesso' non può essere mai considerato come un atto totalmente libero ma ‘determinato da fattori che condizionano l’autodeterminazione dell’individuo”. Di fatto, la Consulta ha confermato il reato di favoreggiamento della prostituzione contenuto nella legge Merlin.
Sentenza che impedisce liberalizzazione e regolamentazione
“D’ora in poi se qualche politico volesse regolamentare la prostituzione, allora dovrebbe abrogare la nostra Costituzione” ammonisce Ramonda. Che però avverte: “Qualcuno tornerà alla carica tentando un colpo di mano, andando contro la dignità della donna. Ma noi vigileremo come stiamo già facendo. Non rimarremo mai in silenzio davanti a questa ingiustizia. Sarebbe un fatto gravissimo”.
Le prostitute non sono mai libere
Le donne che si vendono sui marciapiedi, e in quest’epoca di globalismo vendute anche utilizzando i social, non sono certo donne libere. Non mettono in pratica una scelta autonoma, come in molti vorrebbero far credere. “Libere non lo sono mai – spiega Ramonda –. Da 30 anni incontriamo queste ragazze e posso testimoniare come siano ingannate, violentate, sfruttate. Sono schiavizzate. Molte di loro potrebbero essere le nostre figlie, le nostre nipoti. La sentenza della Corte Costituzionale rende giustizia alle vittime di un giro criminale che rende al pari del commercio di armi e droga. Per combatterlo? Dobbiamo punire i clienti, motore di un olocausto senza fine”.
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