Card. Ranjith: la gente in Sri Lanka ha bisogno di sapere la verità sugli attentati
Barbara Castelli – Città del Vaticano
“Noi abbiamo bisogno di assicurare la fiducia della nostra gente, e questa fiducia si guadagna sapendo la verità”. E’ un racconto doloroso, che non trattiene la commozione, quello che il cardinale Patabendige Don Albert Malcolm Ranjith, arcivescovo di Colombo, condivide con i giornalisti a Roma, in occasione della presentazione del Rapporto annuale 2018 di “Aiuto alla Chiesa che Soffre”. Alla presenza, inoltre, di Thomas Heine-Geldern, presidente esecutivo ACN-International, e di Alessandro Monteduro, direttore ACS-Italia, il porporato ha precisato che tra la gente persiste “la paura del terrorismo”, soprattutto dopo che sono stati individuati nel Paese asiatico “cinque campi di addestramento per jihadisti”. L’arcivescovo di Colombo, questo pomeriggio da Papa Francesco, ha messo a fuoco i tragici eventi del 21 aprile scorso, una barbarie che ha causato oltre 300 vittime e segni indelebili in chi è sopravvissuto. La Chiesa locale ha già programmato, grazie alla solidarietà di tanti, assistenza psicologica per quanti hanno perso i loro cari; sostegno ai ragazzi rimasti orfani di almeno un genitore, ai quali si vuole garantire continuità negli studi; assistenza a chi è divenuto disabile, supporto materiale per chi è senza sostentamento. Il porporato ha precisato, inoltre, la volontà di coltivare il dialogo tra le religioni, assicurando un clima di pace tra tutti.
R. – Noi abbiamo bisogno di assicurare la fiducia della nostra gente, e questa fiducia si guadagna sapendo la verità: perché questo è successo, chi c’era dietro a questo … Noi vogliamo sapere. Noi vogliamo la verità. Sapere cosa è successo. Questo ci preoccupa molto, perché questo tentativo dei partiti di palleggiarsi le responsabilità tra di loro e nascondere i fatti non va bene, perché non è questo che la gente si aspetta.
Un grande sforzo per tornare alla normalità, per ricostruire anche il tessuto di fiducia tra le persone e tra le religioni …
R. – Sì: questo è molto importante perché soprattutto la comunità islamica non deve sentire che loro sono l’ultimo anello della catena, per quanto riguarda questo atteggiamento: quindi, è necessario creare fiducia in loro per avere pace e tranquillità tra noi tutti. E’ necessario: per questo insistiamo su questa necessità di dialogo e contatti tra le diverse religioni.
Da un punto di vista materiale, la Chiesa cattolica dove sta operando, cosa sta facendo concretamente?
R. – Abbiamo fatto una raccolta di doni da diversi gruppi e abbiamo stabilito progetti per cinque gruppi, e con i soldi raccolti sosteniamo questi gruppi. Poi ci hanno aiutato anche diverse agenzie … così riusciremo a realizzare un progetto a lungo termine per il bene di questa gente.
La fede ha il potere di sconfiggere l’odio
Nella sede di “Aiuto alla Chiesa che Soffre”, Alessandro Monteduro ha presentato alcuni dei progetti che Acs ha realizzato nel 2018 grazie alla solidarietà concreta dei benefattori. Una mano tesa che diviene “sostegno alla Chiesa, alla Chiesa povera, alla Chiesa oppressa, alla Chiesa perseguitata”, in “modo particolare in Medio Oriente”. Lo scorso anno “Aiuto alla Chiesa che Soffre”, attraverso le sue 23 sedi nazionali e la sede internazionale, ha raccolto 111.108.825 euro e realizzato 5.019 progetti in 139 Paesi. Gran parte delle offerte è stata devoluta a progetti in Africa (27%) e in Medio Oriente (25%). Per quanto riguarda le aree di intervento, si confermano al primo posto i progetti di costruzione e ricostruzione (31,9% degli aiuti); seguono le intenzioni di Sante Messe (16,4%); aiuti emergenziali e il sostegno alla formazione di sacerdoti e religiosi (12,4%), così come il reperimento di mezzi di trasporto per la pastorale, sostegno ai media cristiani e la pubblicazione di Bibbie e altri testi religiosi.
R. – Si concretizza nella “mission” di “Aiuto alla Chiesa che soffre”: per noi è centrale innanzitutto il sostegno alla pastorale, lo facciamo da 72 anni; siamo probabilmente la più grande organizzazione di carità impegnata nella pastorale e questo significa “edilizia religiosa”. “Aiuto alla Chiesa che soffre”, nel solo 2018, in differenti 139 Paesi del mondo ha costruito o ricostruito mille tra chiese, cappelle, monasteri, conventi, case parrocchiali, seminari e qualsivoglia luogo di preghiera. Parliamo di mille realtà. Ma se a questo aggiungiamo l’immane sforzo che stiamo compiendo nella Piana di Ninive, con la ricostruzione delle case di quelle famiglie cristiane che vogliono tornare a casa, che cioè vogliono tornare in quell’area dell’Iraq dalla quale furono scacciate dall’arrivo dell’Isis nel 2014, sono ben 2.479 i luoghi sui quali noi siamo intervenuti per costruire o ricostruire. Certamente, in primo luogo, c’è quindi questo tipo di sostegno. Ma poi c’è il sostegno alla formazione, c’è il sostegno ai religiosi: consideri che sosteniamo un sacerdote su 10 nel mondo, un seminarista su 10 nel mondo; ogni 22 secondi viene celebrata nel mondo una Santa Messa secondo le intenzioni di uno dei 330 mila benefattori di “Aiuto alla Chiesa che soffre”. Quindi, enorme sostegno alla Chiesa, alla Chiesa povera, alla Chiesa oppressa, alla Chiesa perseguitata e nel contempo un occhio di elevato riguardo per quelle comunità cristiane che in modo particolare in Medio Oriente – in Iraq e in Siria – hanno sofferto negli ultimi anni una persecuzione indicibile.
Davvero grazie alla solidarietà, la persecuzione può essere arginata?
R. – Credo che questa sia l’unica arma per arginare la persecuzione. L’unica arma reale è la solidarietà, la generosità: il sostegno alle minoranze religiose perseguitate. Perché in questo modo tu consolidi le fondamenta di quelle comunità. Ed è quanto di peggio possa avvenire per chi – estremista o terrorista – colpisce con il fine di scacciare quelle stesse comunità. E allora, se noi non diamo loro questa soddisfazione ma anzi, le rafforziamo, quelle comunità, le consolidiamo, a quel punto la fede avrà battuto l’odio 10 a zero.
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