Sangue sicuro per tutti: prossimo obiettivo della sanità mondiale
Roberta Gisotti – Città del Vaticano
Su oltre 117 milioni di donazioni di sangue a livello mondiale, il 42 per cento sono raccolte in Paesi ad alto reddito, dove vive il 16 per cento della popolazione del pianeta. Nei Paesi a più basso reddito circa la metà delle trasfusioni di sangue è rivolta a bambini sotto i 5 anni, mentre nei Paesi più ricchi sono gli anziani sopra i 65 anni a beneficiarne per il 75 per cento. Su mille persone le donazioni di sangue raggiungono il tasso del 32 per cento negli Stati più sviluppati, rispetto a meno del 5 per cento in quelli più arretrati.
Ridurre le disparità tra Paesi ricchi e poveri
E’ evidente la disparità di questo servizio sanitario ‘salva vita’ nelle diverse aree ricche e povere del mondo. Da qui la scelta di dedicare la 15ma Giornata mondiale dei donatori di sangue al tema “Sangue sicuro per tutti”, così come sottoscritto 10 anni fa nella Dichiarazione di Melbourne da responsabili politici di 40 Stati, riuniti nella città australiana insieme esperti di medicina trasfusionale e rappresentanti di organizzazioni non governative. L’impegno fissato in quella sede, per tutti i Paesi, era quello di ottenere il totale del sangue da donatori non retribuiti entro l’anno 2020.
La giustizia sanitaria nel campo delle donazioni
Un obiettivo troppo ambizioso, che ha prodotto comunque risultati positivi: tra il 2008 e il 2015 sono cresciute di oltre 11 milioni e mezzo le donazioni volontarie di sangue non retribuite. Si è affermata inoltre la coscienza dell’importanza di questo settore per la giustizia sanitaria.
Ogni secondo qualcuno ha bisogno di sangue
“Il mondo ha bisogno di sangue sicuro per tutti coloro che ne hanno bisogno”, ci ricorda oggi l’Organizzazione mondiale della sanità, perché accade “ogni secondo in qualche parte del mondo”, che qualcuno abbia bisogno di trasfusioni di sangue ed emoderivati per avere salva la vita: donne colpite da emorragie in gravidanza, bambini grevemente anemici, persone con patologie del sangue e del midollo osseo, disturbi ereditari dell’emoglobina e stati di immunodeficienza, vittime di traumi, incidenti, emergenze, disastri, pazienti sottoposti a complesse pratiche mediche e chirurgiche.
Appello dell’Oms a governi e cittadini
L’appello dell’Oms non è rivolto solo ai governi e alle istituzioni sanitarie, pubbliche e private, ma ad ogni cittadino perché faccia la sua parte nel proprio Paese e prenda in considerazione di effettuare donazioni o se non fosse nelle condizioni di salute richieste promuova questa pratica fra parenti, amici e conoscenti.
Puntare su donazioni gratuite, regolari, anonime
Ci sono infatti tre di modalità di raccolta del sangue: attraverso donazioni volontarie, attraverso la famiglia del malato, attraverso un pagamento. Ma perché è così importante ottenere il sangue e gli emoderivati da donatori volontari?
Il sistema italiano leader nella raccolta del sangue
Tra i Paesi al mondo all’avanguardia nel sistema di raccolta del sangue è l’Italia, che da oltre 90 anni è leader nella donazione gratuita, come spiega Alice Simonetti, responsabile delle politiche europee e dei progetti internazionali dell’Avis, l’Associazione volontari italiani del sangue, fondata nel 1926, che grazie ai suoi di associati - 1,3 milioni - riesce a garantire l’80 per cento del fabbisogno nazionale di sangue.
Perché – come raccomanda l’Oms – è indispensabile puntare alle donazioni volontarie per avere sangue sicuro?
R. – Perché in Italia come in tanti altri Paesi del mondo, per fortuna la donazione non è solo volontaria ma anche non remunerata. Questo significa che i nostri donatori si recano a donare il sangue solo per spirito solidaristico, senza ricevere nulla in cambio ed è proprio per questo che nei loro esami, nel questionario anamnestico, nel compiere il loro piccolo, grande gesto di solidarietà sono pienamente sinceri, attenti ai pazienti che si propongono di aiutare e questo ci porta ad avere livelli di qualità e sicurezza del sangue che viene donato davvero elevatissimi.
L’Oms insiste anche perché oltre che non retribuita la donazione sia periodica e responsabile…
R. – Esatto, di sangue c’è un bisogno quotidiano ed è proprio per questo che una donazione regolare, programmata ci permette di far sì che 1.700 pazienti in Italia ogni giorno abbiano garantita la terapia trasfusionale grazie a questo sistema e di far fronte anche in condizioni di emergenza. Quindi dobbiamo lavorare come associazione, come sistema sanitario nazionale per superare la logica secondo la quale occorre recarsi a donare solo quando c’è un evento tragico, un’emergenza. E’ bello farlo regolarmente perché fa bene a chi il sangue lo riceve ma anche a chi lo dona perché è costantemente controllato nel suo stato di salute e anche attento di conseguenza ai suoi stili di vita.
A che punto è la cooperazione tra Stati in questo settore strategico per la giustizia anche in campo sanitario?
R. – Ci stiamo lavorando molto. E’ uno dei punti su cui Avis sta concentrando la sua attenzione con la partecipazione a progetti di più ampio respiro, tanto a livello internazionale, quanto a livello bilaterale, ma anche a livello di Unione europea. C’è un percorso in atto di valutazione degli attuali strumenti normativi, eurounitari che disciplinano la donazione, la raccolta di sangue ed emocomponenti… ci stiamo fortemente battendo perché tutto questo sistema resti etico e sostenibile e quindi garantisca a tutti i pazienti le cure gratuite e sicure di cui hanno bisogno. A livello internazionale c’è tanto da fare, da questo punto di vista Avis nazionale - che è uno dei membri fondatori e principali componenti della Federazione internazionale delle organizzazioni dei donatori di sangue - lavora molto perché la sua esperienza di oltre 90 di storia possa essere messa al servizio di altri Paesi perché possano trarne beneficio. Le faccio un esempio minimo, pratico ma molto importante. Abbiamo partecipato ad un progetto di cooperazione con alcuni Paesi dell’America centrale che ha permesso in uno di questi, il Salvador, la nascita di un’Associazione di donatori volontari non remunerati e periodici e soprattutto la scrittura della prima Legge trasfusionale basata sui medesimi principi che noi attuiamo in Italia.
Quindi il volontariato può essere la differenza per fare crescere questo servizio indispensabile?
R. – Sì perché nel nostro Paese il volontariato è delegato per legge a compiere tutta l’attività di proselitismo, di comunicazione, di promozione del messaggio della donazione e quindi anche di sviluppo di una cultura della donazione volontaria anonima, non remunerata, periodica e responsabile. E’ quello che può fare la differenza: basti pensare che in Avis ci sono circa 3.500 sedi sul territorio ed ognuna di esse è attiva per portare nella propria realtà il messaggio dell’importanza della donazione di sangue.
La Giornata 2019 celebrata in Rwanda, a Kigali
Ogni anno la Giornata mondiale del donatore di sangue viene celebrata ufficialmente in un diverso Paese. Ad ospitare l’edizione 2019 è la città di Kigali in Rwanda, Paese africano, flagellato 25 anni fa dallo scoppio di una sanguinosa guerra civile, che ha provocato milioni di morti. Una ricorrenza che segna il riscatto di questa nazione: non più sangue versato di persone innocenti ma sangue donato e vita che rifiorisce. Oggi il Rwanda è capofila tra gli Stati africani per l’efficienza del suo sistema di raccolta del sangue, che si serve totalmente di donatori volontari non remunerati, riuscendo a soddisfare il 96 per cento del fabbisogno, grazie a 90 mila unità trasfuse annualmente. Primo tra tutti i Paesi africani a servirsi anche di droni per trasporto del sangue.
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