Venezia ricorda i 90 anni di Anne Frank con la lettura pubblica del suo Diario
Roberta Gisotti – Città del Vaticano
E’ morta a soli 15 anni, Annelies Marie Frank detta Anne, nel campo di concentramento di Bergen-Belsen, nella Bassa Sassonia, dopo essere passata per quello di Auschwitz-Birkenau, in Polonia, vittima delle leggi razziali imposte dal regime nazista e divenuta simbolo dell’odio antisemita, grazie al suo Diario, pubblicato postumo in tutto il mondo, scritto durante i due anni di clandestinità vissuta con la sua famiglia, fra il 1942 e il 1944, nel retro - nascosto da una libreria girevole - di un appartamento ad Amsterdam, nei Paesi Bassi, dove il padre - temendo ritorsioni in Germania - si era trasferito da Francoforte con la moglie e le due figlie nel 1933.
Maratona di lettura pubblica integrale del Diario
Anne avrebbe compiuto 90 anni, oggi 12 giugno 2019: in questa data Venezia la ricorderà con una Maratona di lettura integrale del suo Diario, ospitata nel Campo del Ghetto Nuovo, grazie all’apporto di 90 volontari, che si alterneranno al microfono dalle 10 del mattino alle 20 di sera. A rendere omaggio a questa piccola indimenticabile ragazza, entrata nella storia, suo malgrado, con il portato della sua adolescenza segnata da indicibile sofferenza fisica e psichica, saranno testimoni della Shoah, insieme a rappresentanti del mondo della cultura, dell’arte, dello spettacolo, delle istituzioni, del volontariato, insegnanti, studenti, genitori e bambini. Volti noti e tanta gente comune di tutte le età che hanno aderito con entusiasmo all’iniziativa.
Testimoni della Shoah e gente comune di ogni età
Ad aprire la maratona, quattro donne che hanno vissuto da vicino le discriminazioni contro gli ebrei, le violenze e lo sterminio: Lia Finzi, Olga Neerman, Laura Voghera e Virginia Gattegno; a chiudere la lettura l’attrice Ottavia Piccolo. Si partirà dalla prima pagina del Diario con la nota frase di Anne: “Spero che potrò confidarti tutto, come non ho mai potuto fare con nessuno, e spero mi sarai di gran sostegno”. Testo di riferimento per la lettura sarà l’ultima edizione edita in Italia nel 2017 da Rizzoli “Anne Frank, Diario”, tradotta da Dafna Fiano, a cura di Matteo Corradini, che è anche l’ideatore della Maratona, organizzata con il patrocinio del Consiglio d’Europa, l’Associazione Figli delle Shoah, il Museo ebraico e la Comunità ebraica di Venezia, l’università Ca Foscari. Giornalista e scrittore, ebraista, docente universitario, musicologo, regista teatrale, animatore di eventi culturali, Matteo Corradini lega tutte queste attività con un filo rosso, che è la memoria della Shoah.
R. – Io credo che il passato abbia bisogno di noi, di qualcuno al presente che lo ricordi e Anne Frank, nonostante la sua celebrità assoluta, ha bisogno di persone che leggano ancora il suo diario, più persone possibili, perché il diario è di tutti: dei piccoli, dei grandi, degli adolescenti, è di tante donne anche che leggeranno in pubblico a Venezia questo diario. E’ un patrimonio, davvero, dell’umanità. E non perché Anne è celebre, ma perché Anne ha subito quello che ha subito perché era ebrea e lo ha subito dai nazisti in Olanda; oggi Anne ci ricorda che la sua storia non va dimenticata esattamente come non vanno dimenticate le storie delle persone che noi abbiamo intorno.
Da ebraista, quindi studioso di lingua, letteratura e cultura ebraica, può dirmi se davvero l’antisemitismo è sempre in agguato e se così è, perché tutti dobbiamo sentirci minacciati?
R. – L’antisemitismo non si è mai fermato; semplicemente, in alcuni periodi storici è forse rimasto più sopito. Oggi anche attraverso internet, l’antisemitismo sembra stia riprendendo forza e davanti anche a questi fenomeni credo occorra prendere due direzioni: da un lato, una direzione culturale, ossia l’idea di conoscere e di far conoscere il più possibile le culture, perché delle culture non si abbia paura e non si abbiano idee sbagliate; e dall’altra, che è strettamente connessa alla prima, l’idea che la diversità sia un valore e che un mondo fatto di persone diverse, anche profondamente diverse, è un mondo migliore, già realizzato oggi, senza grandi attese di doverne realizzare uno in futuro. E’ già fatto così, questo mondo: vediamo di apprezzarlo, di amarlo per come è fatto.
Possiamo dire che l’antisemitismo, quando si appalesa, è una cartina di tornasole di un disagio sociale?
R. – A volte sì, a volte no. A volte, l’antisemitismo nasce e cresce in condizioni che non sono di disagio. Ci sono ricerche anche molto documentate da questo punto di vista. Noi potremmo pensare che certe forme di antisemitismo o di razzismo in genere nascano in fasce della popolazione che sono state in qualche modo ‘dimenticate’ o che si sentono più in pericolo, rispetto per esempio all’avvento dell’immigrazione. In realtà non è così: il razzismo nasce anche dentro fasce non in pericolo, dentro parti delle popolazioni che non sono per niente messe alla prova da quello che avviene. Bisogna farsi delle domande, su questo. L’antisemitismo è come se covasse, ogni tanto spunta e viene usato come pretesto, come scusa, ha dei cliché che ritornano nel tempo: il cliché degli ebrei ricchi, degli ebrei che controllano il mondo, la politica, la finanza, il cliché dell’ebreo negativo o comunque dannoso per la società. Sono tutti cliché che spesso vivono in persone che gli ebrei neanche li hanno mia conosciuti.
Tanto più dobbiamo restare allertati di fronte a segnali di antisemitismo, quando si verifichino?
R. – Sì, non bisogna mai smettere di stare allerta su questi fenomeni. E dall’altro, però, credo sempre di più che sia indispensabile diventare propositivi. Non dobbiamo fermarci ad una semplice difesa contro gli antisemiti, ovunque essi siano, ma sempre di più bisogna proporre, essere noi motore di qualcosa; fare il primo passo credo sia indispensabile, soprattutto quando si tratta di iniziative culturali: la cultura non dev’essere una forma di difesa rispetto all’odio, alla violenza; la cultura dev’essere un passo avanti. Poi, con l’odio e con la violenza faremo i conti, un po’ per volta.
Una memoria, dunque, che deve rigenerare?
R. – Che cosa ci rigenera, altrimenti, se non la cultura? Se passiamo una vita senza farci domande, e senza cercare un senso a quello che stiamo facendo, che vita stiamo passando? Stiamo passando una vita che va bene certamente per il sofà di casa, che però non va bene per l’umanità.
ULTIMO AGGIORNAMENTO: 12 giugno
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