Yemen: 24 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria
Matteo Petri – Città del Vaticano
Un morto e 21 feriti. È questo il bilancio dell’ultimo attacco rivendicato dagli insorti yemeniti Huthi che nei giorni scorsi hanno bombardato l'aeroporto saudita di Abha, a 200 chilometri circa dal confine con lo Yemen. L'attacco, di cui si ha notizia grazie all’agenzia governativa saudita Spa, è avvenuto a poche ore dall'arrivo in Arabia Saudita del segretario di Stato americano Mike Pompeo.
La situazione in Yemen
“La situazione in Yemen sicuramente è difficilissima. Il conflitto è costante, non dà segni di tregua”, spiega a Vatican News Simone Garroni, direttore di Azione Contro la Fame (Acf), Onlus presente in Yemen dal 2013. “Ci sono 24 mln di persone - sottolinea Garroni - che hanno bisogno di assistenza umanitaria, 7 milioni di persone mal nutrite, alcune gravemente. Il Paese è praticamente sull’orlo della carestia”.
Il lavoro di Acf
Cura della malnutrizione acuta, distribuzione di acqua pulita e diffusione di sistemi di depurazione: queste le attività principali di Azione Contro la Fame in Yemen dove restano ai margini tra i 16 e i 20 milioni di abitanti, privi di servizi igienici e possibilità di accedere all'acqua, bene primario . “Siamo presenti in vari governatorati - spiega Garroni - a Hodeidah sulla costa ovest, nell'entroterra vicino la capitale Sana’a e nel governatorato di Aden e in un anno siamo riuscitio ad aiutare 700mila persone”. Oggi la preoccupazione è anche per la dilagante crisi di colera, che due anni fa ha ucciso un milione di yemeniti. “Quest’anno - aggiunge- ci sono stati già più di 100mila casi accertati”.
La speranza di una pacificazione
Come arrivare ad una soluzione? Lo scorso dicembre - ricorda Garroni - è stato firmato a Stoccolma un accordo per chiedere un cessate il fuoco al fine di siglare una pace tra le parti in conflitto. Questo accordo è apprezzato anche da Azione Contro la Fame che lo definisce "un primo passo lodevole" ma "fragile". “Sicuramente la soluzione da ricercare non è quella umanitaria, ma quella politica e per questo la comunità internazionale si deve impegnare molto di più”.
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