Giornata per i perseguitati a motivo della fede. Acs: segno importante
Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
“In questo giorno, riaffermiamo il nostro sostegno incrollabile alle vittime di violenza basata sulla religione e sulle convinzioni personali. E dimostriamo tale sostegno facendo tutto il possibile per prevenire tali attacchi e chiedendo che i responsabili siano perseguiti”. È quanto afferma il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ricordando l’importanza di questa iniziativa. L’Onu ha deciso di istituire questa Giornata con una risoluzione approvata lo scorso 28 maggio. Nel testo, le Nazioni Unite ricordano che “il terrorismo e l’estremismo violento in tutte le sue forme e manifestazioni non possono e non devono essere associati ad alcuna religione, nazionalità, civiltà o gruppo etnico”.
Violato il diritto internazionale
L’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, sottolinea che “i credenti di qualsiasi fede, così come i non credenti in molte parti del mondo, continuano a soffrire di violenza e persecuzioni”. “Se una società consente la persecuzione di una minoranza, pone le basi per la persecuzione di qualsiasi comunità”. “La persecuzione come risposta a convinzioni religiose o affiliazioni, o alla loro mancanza - aggiunge Federica Mogherini - è una violazione del diritto internazionale e richiede un lavoro congiunto per combatterla”.
Non si strumentalizzi la religione
Durante il suo Pontificato, Papa Francesco ha chiesto in più occasioni di cessare di strumentalizzare le religioni per incitare alla violenza:
Acs: c’è una maggiore sensibilità verso chi è perseguitato
La Giornata internazionale delle vittime di violenza in relazione alla loro religione o al credo è un segnale di attenzione. È quanto sottolinea a Vatican News il direttore di Aiuto Alla Chiesa che Soffre – Italia, Alessandro Monteduro, sottolineando che la libertà religiosa è la madre di tutte le libertà.
R. – Per tutti noi - per tutti coloro i quali si occupano, come Aiuto alla Chiesa che soffre, di libertà di fede e innanzi tutto per i tanti che soffrono la persecuzione - è un segnale, finalmente, di attenzione ed è un gesto di sensibilità. In fondo negli anni - soprattutto negli ultimi anni - la libertà religiosa è stata un po’ percepita come una libertà di rango inferiore. Altri tipi di libertà hanno occupato la politica, le istituzioni, i consessi sovranazionali; penso alle libertà correlate alla razza, alla sessualità... Il fatto che anche la libertà religiosa, oggi, venga promossa ad un rango superiore è un fatto positivo: significa, probabilmente, che si acquisisce consapevolezza anche attraverso i drammatici numeri. Il tema della libertà di fede è troppo importante per non esser valutato nel giusto modo.
Anche perché lo svilimento di questa libertà, la sua violazione porta poi alla negazione di altre libertà …
R. - Assolutamente, è la madre di tutte le libertà. Il 20% dei Paesi nel mondo non rispetta la libertà religiosa. Il 60% della popolazione mondiale, cioè quattro miliardi di persone, vivono in Paesi dove la libertà di fede non è pienamente garantita. Maltrattare il rispetto della libertà di fede significa maltrattare, appunto, la libertà molto più ampia: attraverso la libertà religiosa arriviamo anche all’esaltazione di libertà come quelle di coscienza, del pensiero. L’articolo 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo sottolinea come queste tre libertà vadano a braccetto e vadano sempre tutelate.
Sono molti i Paesi in cui la comunità cristiana è vittima di discriminazioni e violenze …
R. - Non possiamo sottacere che la comunità cristiana è la comunità di fede maggiormente perseguitata al mondo. Almeno 300 milioni di nostri fratelli vivono in Paesi in cui la libertà di fede è purtroppo calpestata; parliamo di un cristiano ogni sette nel mondo. Mi fa piacere come questa risoluzione - che nel maggio scorso ha trovato l’approvazione presso l’assemblea delle Nazioni Unite - abbia visto tra i Paesi proponenti Stati che soffrono direttamente per la persecuzione. Penso al Pakistan, all’Egitto, all’Iraq e mi fa piacere che a questi si siano aggiunte nazioni che hanno avvertito questa sensibilità e hanno deciso di sostenere questa battaglia, come gli Stati Uniti, la Polonia, il Brasile, e la stesa Giordania. È il mondo che prova a dire alle popolazioni e ai persecutori che da oggi, forse, c’è una sensibilità maggiore e rinnovata per chi soffre la persecuzione in nome della libertà di fede.
Una rinnovata attenzione per chi soffre la persecuzione e anche a causa delle ideologie. Un esempio è la Regione mediorientale dove il sedicente Stato islamico, nonostante la sconfitta militare, non è morto e continua a diffondere la sua retorica intrisa di odio …
R. - È vero ma parlando del Medio Oriente - per lasciare anche un messaggio di speranza, penso all’Iraq o alla Siria - è avvenuto qualcosa di bello di positivo, non di risolutivo, nel corso degli ultimi mesi, e in modo particolare nell’anno passato. Sul piano militare, buona parte di queste organizzazioni terroristiche sono state disarticolate e addirittura centinaia di migliaia di persone si sono impegnate perché adesso i perseguitati possano finalmente tornare a casa loro. Nel nostro caso, nel caso dei cristiani, il fatto che a Ninive sia rientrato circa il 48% di quella popolazione, di quei 120mila che erano stati costretti alla fuga dall’azione fanatica degli uomini del califfato, significa speranza; il fatto che ad Homs, in Siria, qualche cristiano stia finalmente rientrando, è la speranza. Il 2018 attraverso queste azioni - la liberazione di Asia Bibi, alcune normative, come ad esempio quelle in Egitto per l’edificazione dei luoghi di culto - rappresentano una speranza. Una speranza così come la Giornata del 22 agosto e le azioni concrete per i cristiani perseguitati e per tutti coloro che soffrono la persecuzione.
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