India: ancora tensioni in Kashmir dopo il discorso di Modi
Michele Raviart – Città del Vaticano
La decisione di revocare lo status speciale al Kashmir e al Jammu “porterà sviluppo e metterà fine al terrorismo nella regione”. Queste le parole che il premier indiano Narendra Modi ha rivolto alla nazione in un messaggio televisivo, nel primo intervento pubblico dopo l’ordine parlamentare di lunedì scorso. “Inizia una nuova era di pace e prosperità”, ha detto, perché lo status speciale del Kashmir “non ha fatto altro che incoraggiare il separatismo, il terrorismo, il nepotismo e la corruzione a danno dei cittadini della regione”.
Due nuove entità federali
Secondo l’articolo 370 della Costituzione indiana l’ordinamento di Kashmir e Jammu - gli unici territori a maggioranza musulmana dell’India e contesi da Pakistan e Cina - prevedeva il controllo di Nuova Delhi solo su difesa, esteri e comunicazioni e lasciava ampio margine al parlamento locale. Ora, il territorio sarà diviso in due entità federali - i due distretti che compongono il Ladakh, dove è forte la presenza buddhista saranno distaccati dal Kashmir - del tutto equiparate agli altri Stati che compongono la Repubblica indiana.
Continuano gli arresti
“È l’ora più scura della democrazia indiana”, hanno commento alcuni leader locali, presi alla sprovvista dal provvedimento di Modi. Da quattro giorni nel Kashmir è in vigore il coprifuoco con un grande dispiegamento di forze militari e il blocco delle comunicazioni. Rimane comunque alto il rischio di una crisi. Centinaia gli arresti, mentre è stato annullato anche il divieto che proibiva ai cittadini degli altri territori indiani di acquistare proprietà nel Paese, aumentando la percezione di un possibile rafforzamento della presenza del governo centrale.
Lo spettro della crisi
“La crisi è pericolosa”, spiega il giornalista Paolo Affatato a Radio Vaticana Italia, e “parte proprio da un desiderio, politico, del governo guidato da Narendra Modi, di rafforzare l’unità nazionale e cercare cioè di evitare quelle spinte centrifughe che una grande federazione come l’India inevitabilmente ha”. “Ricordiamo”, spiega, “che è un Paese abitato da oltre 1,3 miliardi di persone, con una serie di Stati e territori molto diversi tra loro”. “Forse”, conclude, "il governo non aveva previsto tutta la turbolenza che avrebbe generato il provvedimento”.
Il Pakistan sceglie la via diplomatica
Da parte sua, il Pakistan, che per il controllo del Kashmir combatté due delle tre guerre intraprese contro l’India, ha escluso l’eventualità di qualsiasi risposta militare. “Stiamo guardando alle opzioni politiche, diplomatiche e legali”, ha dichiarato il ministro degli Esteri Shah Memhood Qureshi. Annunciata quindi l’espulsione dell’ambasciatore indiano ad Islamabad, mentre sono state bloccate le attività commerciali e il collegamento ferroviario tra i due Paesi.
Protestano le opposizioni
“Misure abbastanza blande, che non indicano di certo un Paese che vuole fare la guerra”, commenta a Radio Vaticana Italia il giornalista Emanuele Giordana, esperto dell’area. Tuttavia il primo minstro pakistano, Imran Khan, “ha a che fare con partiti di opposizione che sono stati sconfitti nelle ultime elezioni nelle quali ha trionfato il suo partito e che, naturalmente, giocano su questo elemento dicendo che la reazione è troppo blanda e che bisogna reagire con maggiore forza. Si tratta quindi di una situazione difficile in cui fortunatamente Imran Khan emerge con la statura di un uomo di pace. Come abbiamo visto a febbraio, quando ci sono stati gli incidenti in Kashmir, con i bombardamenti aerei dalle due parti, quando ha buttato acqua sul fuoco, restituito il pilota che era stato catturato in territorio pakistano, creando quindi le possibilità per le quali, quella che avrebbe potuto essere la quarta guerra, non si sia poi verificata”.
I vescovi indiani: preghiamo e speriamo in un’evoluzione pacifica
“La situazione in Kashmir è delicata e richiede uno sforzo di tutti, per la pace e la riconciliazione, perché non degeneri: oggi la accompagniamo con la preghiera”, ha commentato all’Agenzia Fides mons. Theodore Mascarenhas, vescovo di Ranchi e da poco ex-segretario generale della Conferenza episcopale indiana. “Esprimiamo la nostra vicinanza alla popolazione del Kashmir, che vive nuovamente giorni di tensione e sofferenza”, e aggiunge: “Speriamo in una evoluzione pacifica, preghiamo per la pace in Kashmir e nell’intera India”. La decisione del governo, spiega invece a Fides padre Shaiju Chacko, portavoce della diocesi di Jammu-Sringagar, l’unica cattolica in Kashmir, “potrebbe generare ulteriore senso di distanza e di alienazione tra la popolazione locale e il governo centrale, aumentando l’instabilità interna e i rischi di radicalizzazione violenta, specialmente tra i giovani”.
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