Mostre. Signorelli e Roma, alle radici del grande Rinascimento
Paolo Ondarza - Città del Vaticano
La cultura cristiana, l’umanesimo e l’antico. Tre componenti che convivono nell’arte di Luca Signorelli, grande pittore cortonese vissuto in Italia tra la seconda metà del Quattrocento e i primi vent’anni del Cinquecento; il suo fecondo rapporto con la Città Eterna è esplorato attraverso circa 60 opere dalla mostra allestita fino al prossimo 3 novembre a Palazzo Caffarelli, nella sede dei Musei Capitolini a Roma, “Luca Signorelli e Roma. Oblio e riscoperta”.
Un pittore di grande rilievo per i suoi contemporanei
Un tributo che restituisce a Signorelli quel ruolo di rilievo che i contemporanei gli riconobbero, come attestato dall’elogio a lui dedicato dall’autore delle Vite, Giorgio Vasari. Dello stesso avviso erano i colleghi Cosimo Rosselli, Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio, Pietro Perugino, Biagio D’Antonio e Bartolomeo della Gatta che nel 1482 con Signorelli lavorarono in Vaticano alla decorazione della Cappella Magna, nota a tutti come Sistina, dal nome del pontefice regnante e committente degli affreschi, Sisto IV.
Oscurato da due giganti
La sorte dei capolavori dedicati alle storie bibliche istoriate dai Quattrocentisti sulle pareti della Sistina è simile a quella subita dalla notorietà di cui godette in un primo momento Signorelli: furono infatti oscurati dall’ombra degli imponenti affreschi eseguiti da Michelangelo e Raffaello in Vaticano. Tanta grandezza ha inevitabilmente provocato l’oblio caduto su Signorelli dai primi del Cinquecento fino alla riscoperta nell’Ottocento. Eppure l’arte del pittore fu determinante nella formazione dei due Maestri del Rinascimento Italiano. Ad essa infatti devono essere ricondotti tanto il plasticismo michelangiolesco, quanto la grazia delle Madonne raffaellesche.
Un Maestro per Raffaello e Michelangelo
A dimostrazione di ciò Federica Papi, che insieme a Claudio Parisi Presicce ha curato la mostra, cita “i diversi studi effettuati dal Sanzio sulle pitture del cortonese”. Michelangelo da parte sua ammirò moltissimo gli affreschi di Orvieto, ispirandosi ad essi nella realizzazione del Giudizio Universale. “Questi due giganti hanno oscurato la fama di Signorelli perché da Signorelli hanno ripreso l’ingegno, le idee, ma, come scrisse Vasari, le hanno portate avanti perfezionandole. Questi due allievi, anche se non stettero mai a Bottega da Signorelli, hanno preso tutto quello che c’era da prendere dal maestro e lo hanno portato avanti, ognuno per il suo percorso. Raffaello ne coltiverà soprattutto la grazia: quel sentimento umano e sacro delle Madonne. Michelangelo ne prenderà la forza plastico-scultorea degli Ignudi, la muscolatura e l’anatomia del corpo”.
Il pittore dell'unione tra corpo e anima
Attraverso un gioco di riproduzioni retroilluminate la mostra illustra il vigore e la bellezza degli affreschi della Cappella Nova o di san Brizio, nel duomo di Orvieto, “la più grande decorazione ad affresco mai realizzata prima della Cappella Sistina”. Emerge in modo dirompente la concezione del corpo introdotta da Signorelli: non è più impaccio per l’anima, ma un tutt’uno con essa, in un’armonia perfetta.
Un regista nel raccontare il Giudizio Universale e i Fatti dell'Anticristo
“Il Giudizio Universale - racconta Federica Papi - era un tema ricorrente nei cicli pittorici di ambienti sacri. Signorelli con la collaborazione degli esegeti che lavoravano lì ad Orvieto e mantenendo il filo conduttore già impostato da Beato Angelico – a cui subentrò nella decorazione - riesce a dare uno sviluppo innovativo, più moderno”. Interpellano la fede e la spiritualità “I fatti dell’Anticristo”, soggetto inedito di Luca Signorelli che nelle pareti si autoritrae assieme all’Angelico: “Il ritratto di Signorelli è una sorta di firma, in cui lui si pone dinnanzi ai fatti dell’Anticristo e quindi ci indica chi segue il bene e chi segue il male, chi seguirà le parole dell’Anticristo che, tra l’altro, può essere scambiato con Cristo”. Ne "La resurrezione della carne", la bellezza dei corpi desunti dalla statuaria antica sta a dimostrare che alla fine dei tempi il corpo risorgerà insieme all’anima. “Le figure di scheletri che fuoriescono dal terreno lunare rivestendosi di carne, sono impressionanti, spettacolari. Quasi possiamo immaginare questa scena, come una sorta di film di cui Luca Signorelli è il regista”.
Signorelli e l'antico: a confronto con lo Spinario
Fino ad oggi la capitale italiana non aveva mai ospitato una monografica dedicata al pittore toscano, tanto apprezzato da Lorenzo il Magnifico. Il percorso espositivo rende partecipe il visitatore dello studio dedicato da Signorelli alle opere dell’antica Roma, da cui continuamente trasse ispirazione. Particolarmente felice l’allestimento dei quadri attorno alla scultura marmorea di età imperiale dello Spinario proveniente dagli Uffizi e gemella della antecedente versione bronzea ellenistica, anch'essa in mostra, donata nel 1471 da Sisto IV alla città di Roma. Quest’ultima è custodita ancora oggi al Palazzo dei Conservatori e costituì parte del nucleo originario dei Capitolini, il più antico museo pubblico al mondo. Signorelli osservò con grande ammirazione la statua del giovane seduto nell’atto di togliersi una spina dal piede, citandola a più riprese nei suoi dipinti.
Il fascino di Roma
Ritroviamo una riproduzione dello Spinario ad esempio nella figura alle spalle del Battesimo di Cristo di Arcevia. Signorelli introduce la posa di quel soggetto classico – aggiunge la prof.ssa Papi – riproponendolo come “figura arcadica, precristiana, pronta alla conversione”. L’omaggio a Roma torna nel “Martirio di san Sebastiano” della Pinacoteca di Città di Castello. Nella grande pala restaurata per l’occasione, alle spalle del soggetto principale, si ergono il Colosseo e l’Arco di Costantino.
Testimone della scoperta del Titulus Crucis
Le rovine e una costruzione ispirata a Castel Sant’Angelo si intravedono invece alle spalle della “Crocifissione con la Maddalena” proveniente dagli Uffizi. Qui vi è la testimonianza della grande eco suscitata in tutta Italia dal rinvenimento nel 1492 all’interno della Basilica romana di Santa Croce in Gerusalemme del Titulus Crucis, ovvero il cartiglio in lingua ebraica, latina e greca che si identificò subito con quello affisso sulla sommità della croce con la scritta “Gesù Nazareno Re dei Giudei”. “E’ molto interessante – nota Federica Papi - che in questo dipinto, di notevole bellezza per la profondità, per i colori, per i tanti riferimenti, per la figurazione del cranio attraversato da un serpente e da una lucertola in riferimento al Golgota e al peccato originale, sulla sommità della croce sia riportata questa iscrizione ritrovata nel 1492 che sappiamo fu trascritta e inviata a Firenze, alla corte di Lorenzo il Magnifico. La troviamo utilizzata infatti sia da Luca Signorelli che da Michelangelo Buonarroti in una delle sue prime opere, il Crocifisso ligneo di Santo Spirito. Vuol dire che i due artisti in quel momento erano entrambi a Firenze, evidentemente molto vicini e furono subito informati di questo importante ritrovamento romano”.
Un ritorno nella Città Eterna
A Cinquecento anni di distanza dunque, grazie alla mostra dei Capitolini, Signorelli torna a Roma per la quarta volta. Dopo l’esperienza sui ponteggi della Sistina, il suo secondo passaggio in città è attestato dalla cronaca di una cena a casa dell’architetto Donato Bramante nel 1507, epoca in cui Papa Giulio II progettava di rinnovare la decorazione del suo appartamento, poi affidata a Raffaello. A certificare invece il terzo soggiorno romano del pittore è una lettera di Michelangelo del 1518 nel quale l’autore del David menziona un prestito in denaro elargito al collega cinque anni prima.
Fede e vita privata
Professione pubblica e vita privata di Luca Signorelli camminano di pari passo lungo l’iter della mostra. Il visitatore avvicina così anche l’aspetto più intimo, familiare di questo pittore: il rapporto con la famiglia, il dolore seguito alla perdita di due dei suoi amati figli e successivamente della moglie Gallizia. Degna di nota la regale umiltà della Madonna con bambino del Metropolitan Museum di New York: una bellissima Vergine dal profilo greco e dall’espressione velata di tristezza si staglia sul fondo dorato. Il quadro fu probabilmente eseguito da Luca per la consorte a seguito di uno dei lutti familiari e successivamente fu donato alla figlia Gabriella. “Esso trasmette un fortissimo senso di amore materno, rispetto a quella che è la preziosità del fondo alle spalle. La Vergine rivolge uno sguardo molto triste al figlio, in ragione del destino che lo attende”.
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