Il dramma dei migranti che arrivano a Lampedusa
Giancarlo La Vella – Città del Vaticano
La stagione degli sbarchi prosegue nel Mediterraneo in direzione soprattutto di Lampedusa e Malta. In particolare la situazione a Lampedusa è a livello di guardia. La narrazione del parroco di San Gerlando, a Lampedusa, don Carmelo La Magra, è molto toccante. Ma, di fronte alle difficoltà, i lampedusani rimangono accoglienti nei confronti di chi, dopo le violenze ricevute in Libia, cerca una nuova vita in Europa.
R. – La situazione degli arrivi non è diversa da quella degli ultimi mesi: gli sbarchi arrivano, sia quelli più piccoli, autonomi, che quelli soccorsi dalla guardia costiera e dalla Guardia di Finanza. Purtroppo, come spesso accade, quando non si riesce a garantire trasferimenti più veloci, anche a motivo delle condizioni meteo, la situazione all’hotspot di Lampedusa si aggrava, perché è una struttura che al momento può accogliere 95 persone e che ad oggi ne ospita circa 300. La situazione è di grave condizione, soprattutto per i migranti che devono vivere in un posto che già di per sé presenta delle carenze; quando poi è pieno oltre misura è davvero impossibile fare una degna accoglienza.
Si riesce a far fronte alle esigenze immediate dei migranti che arrivano dopo giorni di navigazione? Di che cosa hanno bisogno?
R. – Hanno bisogno dell’essenziale, credo che fino a un certo punto si riesce a fare … 300 poi non sono un numero così grande. Il problema è che poi, quando la struttura dell’hotspot può dare da mangiare, può fornire vestiti ma non può garantire un tetto a 300 persone e nemmeno i servizi adatti per tutti, iniziano ad evidenziarsi queste carenze. Quindi, chi ha un problema sono in realtà i migranti che non riescono ad essere accolti bene, e soprattutto le persone più fragili, più vulnerabili che si trovano a vivere in questa situazione di affollamento. Comunque, il paese di Lampedusa non è né invaso né sotto pressione – però, è difficile garantire una buona accoglienza, in queste condizioni.
Lo spirito dei lampedusani è sempre di grande solidarietà …
R. – Sì … l’accoglienza ormai è riservata allo Stato, quindi l’hotspot è militarizzato, e anche se i migranti possono uscire, la comunità non può entrare all’interno a fornire aiuti di accoglienza. Quindi la nostra presenza è attraverso alcune persone ed è riservata al momento dello sbarco e poi quando i migranti escono, li incontriamo. Ma al momento non presentano gravi esigenze se non quella, naturalmente, di volere andare via da Lampedusa perché vorrebbero raggiungere un posto in cui potere stare meglio.
L’Europa rimane la meta di queste persone …
R. – Sì, l’Europa rimane la meta: alcuni ragazzi tunisini temono il rimpatrio diretto, come spesso avviene, che è anche una grave violazione del diritto della persona perché non si può rimpatriare in massa secondo la nazionalità. A tutti dovrebbe essere garantito il diritto di chiedere protezione, di presentare la propria storia. Al momento, non so se è stato fatto per tutti ma un gruppetto di ragazzi tunisini manifesta contro il rimpatrio forzato.
Quali storie vi raccontano queste persone che sbarcano a Lampedusa?
R. – Le storie più dure, più tristi … ci sono quelle dei migranti subsahariani o dei siriani o di qualsiasi persona che venga dalla Libia che, oltre ad affrontare un viaggio molto pericoloso e molto duro, ci raccontano dei centri di detenzione, delle violenze, delle torture subite, delle gravidanze che le donne portano, certamente non frutto di amore o di mariti o compagni di vita, ma anche queste frutto di violenza … Spesso a raccontare, più che le parole sono i corpi stessi, segnati dalle ferite e dalle piaghe di massacri terribili a cui queste persone vengono sottoposte in Libia. Poi, certamente, la storia di ogni persona è molto diversa l’una dalle altre; ma certamente, quello che c’è dietro all’arrivo a Lampedusa è davvero qualcosa di difficile da poter comprendere, anche per noi …
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