India. Padre Biju: collegio distrutto per impedire l’educazione dei poveri
Marco Guerra – Città del Vaticano
Resta alta la tensione nello Stato indiano dello Jharkhand, dopo il recente attacco contro un collegio dei gesuiti, compiuto da 500 estremisti indù, che ha provocato ingenti danni alla struttura e due feriti gravi. Le violenze sono iniziate per punire un alunno che aveva osato controbattere a un insulto da parte di un altro studente.
Rilasciato un sacerdote
Secondo quanto riferisce oggi l'Agenzia AsiaNews, un tribunale del Jharkhand ha concesso il rilascio su cauzione a padre Binoy John, il sacerdote cattolico arrestato quasi due settimane fa con l’accusa di conversioni forzate e occupazione illegale di terreni. I giudici hanno accolto la richiesta dei legali per motivi medici. Rimane in prigione invece Munna Hasda, il catechista arrestato insieme al prete con la stessa accusa il 6 settembre scorso. I due cattolici insieme a un secondo sacerdote subito rilasciato dopo il fermo, erano incolpati di aver praticato conversioni forzate al cristianesimo nella missione di Rajdaha, nel distretto di Godda (diocesi di Bhagalpur).
Inasprite regole su Ong
E proprio in questi giorni – riferisce ancora AsiaNews - il ministro dell’Interno dell’Unione indiana ha deciso d’inasprire le regole sul funzionamento delle Ong che ricevono finanziamenti dall’estero, stabilendo che tutti i componenti devono firmare una dichiarazione di “non coinvolgimento in attività di conversioni religiose né per favorire la discordia settaria”. Molti attivisti sostengono che l’obiettivo è colpire le attività dei cristiani in favore dei poveri e degli emarginati.
Timori di nuove limitazioni
“Le nuove modifiche riaccenderanno le paure di indagini selettive sulle Ong. Tra le ragioni ammesse, rientrano tutte le organizzazioni il cui obiettivo può essere interpretato nel più ampio senso di discordia settaria, o con accuse di conversione o come semplice violazione”. Ha detto Sajan K George, presidente del Global Council of Indian Christians.
Manifestazione di solidarità
Intanto ieri almeno 3mila persone hanno manifestato contro l’assalto al collegio gesuita. Un’iniziativa condotta dalla popolazione tribale che beneficia del servizio educativo del collegio, rivolto anche ai figli delle famiglie più povere ed emarginate.
Padre Biju: hanno distrutto tutto
Sulle ragioni che hanno mosso le violenze al St. John Berchmans Inter College, Vatican News ha intervistato padre Biju Sebastian, sacerdote gesuita indiano della provincia Dumka Raiganj che ricade nello Stato del Jharkhand:
R. – Questa volta, questa violenza che hanno commesso non è realmente rivolta al personale della scuola o agli studenti, quanto piuttosto parliamo dei danni fatti alla scuola, alla struttura. Hanno distrutto tutto quello che potevano distruggere: i vetri delle finestre, le sedie, l’impianto elettrico … tutto, hanno distrutto tutto. E dopo avere finito lì, si sono rivolti all’ostello e lì hanno fatto la stessa cosa e in più hanno distrutto anche i veicoli e hanno rubato portatili, laptop, cellulari, i soldi che hanno trovato in ufficio – perché sono entrati all’improvviso e anche lì hanno distrutto tutto, anche lì. Quindi, questa volta sono stati più violenti e hanno pianificato l’azione, nel senso che sono venuti con gli strumenti per distruggere. Grazie a Dio non hanno ucciso nessuno.
Il collegio ha presentato una denuncia contro 26 studenti; anche questa volta sembra si tratti di estremisti indù. Perché c’è questa violenza da parte di questi gruppi?
R. – Se anche hanno sporto denuncia contro questi studenti, non sappiamo in realtà quanti vi siano coinvolti, perché sono state quasi 500 le persone entrate nel campus, nella nostra scuola; e quindi chi ha fatto che cosa, è molto difficile da sapere. Però, alcuni hanno registrato con il cellulare alcuni eventi. La cosa importante è che non solo gli studenti hanno partecipato: in quella folla, la metà erano altri, cosiddetti estremisti induisti che hanno agito così per vari motivi. Anche per sentimenti religiosi, ma più dei sentimenti religiosi, ci sono motivi di ordine sociale, perché chi studia in questa scuola, che abita in questo “hostel” – che sarebbe riservato solo alla popolazione indigena, ai ragazzi della tribù. Nel collegio ci sono 400 studenti, e quindi ogni anno sono una cinquantina i ragazzi che finiscono gli studi e lasciano la scuola superiore e sono in condizione di poter ottenere un lavoro. Questo è quello che dà fastidio agli altri, perché magari i loro figli non hanno questa opportunità. Invece i ragazzi “poveri”, delle popolazioni indigene, hanno questa possibilità di crescere e trovare anche un lavoro. Questo dà fastidio a quel gruppo di violenti.
Queste violenze mettono a rischio la libertà religiosa?
R. – Certo, perché questo non è un evento isolato. Ci sono altre situazioni che mettono in difficoltà la missione, anche nella mia stessa provincia di Dumka Raiganj e anche in altre province e in altre diocesi, dove sono stati denunciati due sacerdoti e un catechista laico senza libertà provvisoria, perché le accuse dicono che avrebbero procurato conversioni forzate al cristianesimo. Ma questo non è vero. Ma così cercano di mettere paura ai sacerdoti missionari per mettere fine alle nostre missioni, perché non continuiamo a fare il nostro lavoro a favore dei poveri, non vogliono che lavoriamo per alzare il livello dei poveri. Questo succede anche a noi, nella nostra diocesi, in un’altra provincia dove un sacerdote è stato accusato di abuso su un minore, ma anche questo non è vero; c’è un mio compagno della provincia di Ranji che è in carcere da un anno, senza libertà provvisoria: a suo carico diversi capi di imputazione e quindi lui è ancora in carcere. Non c’è nemmeno libertà religiosa: il nostro concetto ci dà la libertà di parlare e di predicare ciascuno la propria fede, agli altri. Ma ora tutto viene limitato: non c’è libertà religiosa.
Il dialogo interreligioso può contribuire alla convivenza pacifica, o è una questione che è più sul piano politico?
R. – Il vero problema non è un problema di carattere religioso, cioè che le religioni lottino l’una contro l’altra, perché in realtà esiste una buona collaborazione tra le religioni – induisti, cristiani e musulmani. Il problema nasce quando la divisione tra le religioni viene portata dalle autorità politiche, dal potere politico. Infatti, il motivo dei politici non è la religione, perché molti di loro non vanno in chiesa, come non vanno al tempio e non vanno in moschea. Il problema è che loro vogliono dividere la gente basandosi sulla religione, giocando sulla religione loro interessi, per trarne vantaggio loro stessi.
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