Madagascar, terra ricca di risorse ma povera e affamata
Antonella Palermo - Città del Vaticano
Il Papa sta per fare visita, nell’ambito del suo viaggio apostolico in Africa ricordato anche all’Angelus domenicale, alla grande isola malgascia, dove il 42% della popolazione soffre la fame. “A monte c’è il basso reddito della popolazione e la scarsa conoscenza delle pratiche alimentari più adatte alla salute”, afferma ai microfoni di Radio Vaticana Italia, Cédric Charpentier, vice direttore del Programma Alimentare Mondiale - Madagascar.
Shock climatici e resilienza
“Il Madagascar in realtà ha di tutto”, precisa Charpentier. “Ci sono zone dove l’agricoltura funziona bene ma ci sono anche molte aree dove le risorse naturali sono continuamente minacciate dall’alta frequenza di shock climatici e dove limitate sono le infrastrutture pubbliche. Il Madagascar è tra i dieci Paese africani più esposti alle catastrofi naturali, il primo nel continente per i danni causati dai cicloni”. Ricordiamo quanta devastazione portò con sé il fenomeno meteorologico El Niño nel 2016 e 2017. L’agricoltura, la pesca e la selvicoltura (la disciplina che studia l'impianto, la coltivazione e l'utilizzazione dei boschi) sono la spina dorsale dell’economia malgascia. Numerosissimi sono tuttavia gli incendi che si registrano negli ultimi anni e che inaridiscono e rendono inospitale vastissime aree del Paese. Il riso è la base e il raccolto principale dell’isola, ma la produzione è insufficiente per soddisfare la domanda interna. Le regioni meridionali producono grandi quantità di manioca, ma la maggior parte viene sprecata. Solo nel 2016 le famiglie hanno perso fino al 90% delle loro colture a causa delle scarse precipitazioni, privandole del cibo per mesi.
In un quadro come questo, eliminare la fame e lavorare per creare e intensificare le partnership sono gli obiettivi principali del PAM in Madagascar, i cui interventi sono realizzati a sostegno del governo, in conformità con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. “Abbiamo un piano strategico di 300 milioni di dollari per i prossimi cinque anni”, spiega il vice direttore. “Per noi è importante rafforzare il rapporto ‘aiuto umanitario-sviluppo’, costruire la resilienza, affrontare le cause profonde della vulnerabilità cronica, preparare le persone alla capacità di risposta agli shock”. La maggior parte dei progetti sono destinati al grande Sud, la regione più povera del Paese e molto si investe nella formazione delle donne, anche perché “non hanno accesso alla proprietà della terra”.
Le mense scolastiche
La fame in Madagascar fa perdere il 14,5% del PIL poiché la malnutrizione si riflette su spesa sanitaria, scolastica e perdita di produttività sul mercato del lavoro. E’ un preoccupante circuito vizioso. Qui il 47% dei bambini sotto i 5 anni soffre di arresto della crescita. L’opera del PAM per migliorare le loro condizioni di vita è cruciale: “Il tasso di iscrizione dei bambini alla scuola primaria è considerevolmente diminuito dal 2006”, spiega ancora Charpentier. “Per noi è fondamentale la continuità scolastica. Quindi sono importanti le mense, devono aumentare. Ci sono 24 mila scuole pubbliche primarie ma solo 1300 sono dotate di mense. Vuol dire che solo 350 mila studenti hanno un pasto assicurato al giorno. Gli altri quattro milioni di bambini non ricevono nulla da mangiare a scuola”.
Istruzione come via di sviluppo
A fornire ulteriori dettagli su una popolazione che al 70% vive al di sotto della soglia di povertà mondiale è don Luciano Mariani, delegato dell’Opera Don Orione. Risiede nel quartiere di Anatihasu, a pochi passi dal centro della capitale. Spiega che la gente è attratta dalla capitale; arrivando, si insedia dove può e senza avere la possibilità di costruirsi una casa. “Ad esempio nella maggior parte delle famiglie dei nostri bambini il papà non sempre è presente, la mamma lava i panni. Il guadagno è pochissimo: 5000 ariary al giorno, che corrisponde a un euro, un euro e mezzo. Spesso, quando giro per il quartiere dico: ‘questa non è povertà, è miseria’. È ancora più grave”. Fa il paragone con vent’anni fa: “Posso dire che in questo quartiere non c’è stata un’evoluzione, anche perché dodici anni fa un ciclone ha distrutto alcuni canali che portavano acqua pulita. E’ diventata una zona melmosa e, anche nel periodo in cui non piove come in questi mesi, nelle case non c’è acqua potabile. Nei dintorni della casa è allagato, infatti ci sono le passerelle in legno per andare da una famiglia all’altra. La nostra parrocchia è quasi tutta in questo stato”.
Perché questa paralisi? “Diciamo che da una parte il governo non pensa a creare delle strutture per la gente, dall’altra le famiglie non hanno i mezzi necessari per migliorare le proprie condizioni di vita. Ad esempio, la maggior parte di loro lavora al mattino per poter mangiare a mezzogiorno; lavora il pomeriggio per poter mangiare la sera. Quindi, se lo scopo primario è quello di trovare da mangiare per il pranzo o per la cena, non c’è tempo e modo per pensare a lungo termine. L’unica via è dare un’istruzione ai bambini”.
La Chiesa e l’assistenza sanitaria
La fragilità del Madagascar si riflette enormemente nell’ambito sanitario: il Madagascar non si è affrancato ancora del tutto dalla lebbra, la malaria è endemica tutto l’anno e numerose sono le malattie parassitarie e provocate dall'assenza di norme igieniche. La presenza dei religiosi in quest’ambito si è rivelata in poco più di un secolo una risorsa fondamentale con il servizio negli ospedali pubblici o la gestione diretta di strutture dove i malati possono avere l’assistenza adeguata. Tra queste, le Suore ospedaliere della Misericordia, la cui delegata, suor Maria Jardiolyn, filippina, sottolinea l’attenzione per le persone che non hanno mezzi sufficienti a curarsi.
“Nella capitale, le nostre suore prestano servizio in uno dei più grandi ospedali”, racconta la religiosa. “E’ un ospedale statale ma purtroppo l’assistenza sanitaria qui in Madagascar lascia un po’ a desiderare, soprattutto per i poveri. Il nostro ruolo è principalmente essere presenti per facilitare il servizio e avere la cura dei malati. Inoltre noi gestiamo l’ospedale della Congregazione e anche un altro ospedale che è della diocesi. Questo ci facilita di più nell’aiuto ai poveri. Soprattutto dall’Italia arrivano molti volontari. Sono ormai una decina d’anni che arrivano medici di tutte le specializzazioni a fare questo servizio e noi annunciamo via radio la loro disponibilità così che le persone possano essere curate”.
Suor Maria affronta anche le conseguenze di una superstizione diffusa. “In alcune zone del Madagascar purtroppo è necessario ancora insegnare alla popolazione che quando le persone stanno male devono venire in ospedale. Tantissimi, quando vengono, sono già in una condizione molto, molto grave perché ancora non credono che l’ospedale potrà aiutarli. Quindi, oltre a curare cerchiamo anche di fare questa pastorale per evitare che i bambini, o anche le donne incinte, giungano quando ormai non c’è più nulla da fare. Tanti vanno ancora sotto l’albero perché credono che l’albero abbia il potere di guarirli”.
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