Firenze. L'Annunciazione di Campin in dialogo con Beato Angelico
Paolo Ondarza - Città del Vaticano
L’arte fiamminga e quella italiana del Quattrocento a confronto in uno dei luoghi simbolo del Rinascimento fiorentino. Fino al 6 gennaio 2020 le Sale dell'ex Convento di San Marco, oggi Museo di San Marco, che tra pochi mesi festeggerà i 150 anni di fondazione, accolgono un prestigioso dipinto proveniente dal Museo del Prado: l’Annunciazione di Robert Campin. L’opera è esposta accanto al tabernacolo con l’Annunciazione e Adorazione dei Magi di Beato Angelico, proveniente dalla Basilica di Santa Maria Novella.
Un dialogo tra l'arte fiamminga e italiana del Quattrocento
Ne emerge un dialogo serrato, attorno al medesimo soggetto mariano, tra due culture estetiche diverse, entrambe innovative e di rottura rispetto al mondo tardogotico ancora fiorente al tempo in cui i due dipinti furono eseguiti. Le opere sono coeve: ambedue circoscrivibili attorno al 1425. Da una parte è possibile contemplare l’aurea e sublime lirica religiosa cristiana, già innovativa nella resa prospettica della profondità spaziale, propria dell’Angelico che a San Marco è di casa: qui visse come frate domenicano e priore, decorando i principali ambienti, quali il cenobio, la sala capitolare, il chiostro e le celle con le scene della Passione di Cristo. Dall’altra la sbalorditiva abilità cromatica, la minuta concentrazione sul dettaglio e la spiritualità nordica della pittura ad olio di Campin, noto anche come Maestro di Mérode, e considerato, accanto a Jan Van Eyck, il capostipite della pittura fiamminga. Non è un mistero che, sebbene profondamente distante, l’Angelicus Pictor abbia ad essa guardato con vivo interesse, colpito dalla brillantezza cromatica e dall’approccio analitico dei colleghi d’oltralpe. Elementi, questi ultimi, che spiccano nella tavola dipinta da Robert Campin.
Un prestito straordinario del Museo del Prado
Qui l’Annunciazione è inserita all’interno di una architettura gotica: la Vergine vestita di azzurro è rappresentata in una stanza elegantemente arredata, mentre è intenta a leggere un libro. Quell’atteggiamento assorto è rotto dalla visita dell’angelo, in ginocchio fuori dalla porta, con sulle spalle un ricco mantello rosso. La preziosità e raffinatezza dei dettagli sono elementi propri di un linguaggio simbolico mirato a svelare il trascendente. L’opera che dà il nome all’esposizione fiorentina curata da Marilena Tamassia, è stata concessa eccezionalmente dal Museo del Prado che proprio quest’anno ha festeggiato i 200 anni di fondazione con la mostra “Fra Angelico and the rise of the Florentine Reinessance” a cui hanno generosamente contribuito il Museo di San Marco e il Polo Museale della Toscana.
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