Brexit: ultimi giorni per trovare un accordo con l'Ue
Eugenio Murrali - Città del Vaticano
Ultimi giorni per evitare un’uscita senza accordo della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Il premier britannico Boris Johnson si dice pronto anche a una “hard Brexit”, ma sul tavolo c’è la questione delicata del confine dell’Irlanda del Nord. Ai microfoni di Radio Vaticana Italia Luciano Monti, docente di politiche dell’Unione Europea all’Università Luiss “Guido Carli”, spiega le possibili conseguenze della Brexit.
R. - In sostanza si aprono tre prospettive. Una di dimensione internazionale che è connessa ai rapporti commerciali nuovi che l’Unione Europea dovrà sostenere indebolita dall’assenza della Gran Bretagna; un secondo profilo è relativo invece ai rapporti tra l’Irlanda del Nord che uscirà dall’Unione Europea e la Gran Bretagna e la terza questione invece riguarda il nuovo bilancio dell’Unione Europea 2021-2027 che non potrà più contare sulle risorse della Gran Bretagna.
Soffermiamoci su questo “backstop”, la questione irlandese …
R. - La proposta che ha formulato recente Boris Johnson è piuttosto oscura in questo senso: è chiara l’idea di assicurare all’Irlanda del Nord una sorta di “facing out” (affaccio verso l’esterno), cioè la possibilità comunque di godere delle facilitazioni e delle aperture del mercato unico almeno fino al 2023. Meno chiara è questa idea del doppio confine che propone Boris Johnson che ha l’evidente volontà di non creare una frontiera fisica; francamente nella storia non si ricordano delle frontiere composte da due dogane e in mezzo una sorta di terra di nessuno. Tra l’altro l’Irlanda ha già rimandato al mittente la proposta inglese.
Quali potrebbero essere e ripercussioni sul bilancio dell’Unione Europea di un’eventuale Brexit?
R. - È evidente che la Gran Bretagna è una grande contribuente netto del bilancio ancor che sostenuto da un rimborso da parte di altri Paesi come l’Italia e la Germania. Si tratta di ricostruire un bilancio in un momento un po’ delicato come questo, dove ancora alcuni Paesi devono uscire dalla recessione, con la politica agricola da disegnare avendo un numero di risorse inferiore a quello sulle quali poteva contare il bilancio 2014-2020, oggi in chiusura.
E sullo scacchiere internazionale quale quadro si apre?
R. - È evidente che l’Unione Europea senza la Gran Bretagna che comunque è una delle grandi potenze mondiali si indebolisce; si indebolisce ulteriormente in caso di hard Brexit, perché questo significherebbe che Boris Johnson non solo lascia il tavolo dell’Unione Europea in un negoziato ipotetico con gli Stati Uniti, ma addirittura si va a sedere a fianco di Trump e quindi questo renderebbe sicuramente più complesso un negoziato in un momento in cui c’è in atto una battaglia sui dazi. Non avere l’Inghilterra dalla propria parte è già un problema; averla alla parte opposta è un doppio problema.
E per la Gran Bretagna, invece, quali ripercussioni?
R. - In Gran Bretagna sono tutti molto divisi. Ovviamente c’è una sorta di “pregiudizio di conferma”, cioè chi è favorevole alla Brexit mette in evidenza che non ci saranno grandi problemi, al contrario chi invece era contrario all’uscita solleva una serie di problemi soprattutto di natura economica. Il mercato sicuramente non la sta prendendo bene; il fallimento anche recente delle agenzie di viaggi lo dimostra. È evidente che la Gran Bretagna fuori dal mercato unico ha davanti qualche anno critico. Nel lungo periodo credo nessuno possa dire ragionevolmente che ne avrà un danno, perché comunque è la Gran Bretagna. Nel breve-medio sicuramente anche la sterlina sta pagando.
Cosa può mettere sul tavolo Johnson per chiudere la partita con l’Unione Europa entro il 31 ottobre in maniera favorevole?
R. - Si pone davanti intanto una commissione nuova, quindi una commissione che ha voglia di chiudere questa partita possibilmente in modo positivo e non ha alle spalle lo sfibrante negoziato al quale è stata condannata la commissione precedente. Tra l’altro non c‘è Theresa May. Quindi il secondo vantaggio che potrebbe giocare è proprio questa battaglia con gli Stati Uniti e quindi potere avere l’Inghilterra se non proprio sul tavolo dell’Unione Europea, almeno non apertamente schierata sul tavolo degli Stati Uniti in una battaglia di dazi. Questo Johnson lo sa benissimo e su questo insiste per cercare di portare a suo favore una chiusura di negoziato in tempi rapidi.
È davvero inevitabile la Brexit?
R. - La Brexit è inevitabile, perché il governo sia la May prima che Johnson oggi ne fanno una questione di principio. Loro ritengono che il popolo inglese si sia espresso anche se con una maggioranza molto limitata; è un Paese comunque democratico nonostante qualche sfasamento nella convocazione del Parlamento, però rimane un Paese campione di democrazia. La democrazia ha deciso che loro sono fuori. E quindi anche con dispiacere da parte di noi europei e buona parte degli inglesi credo che sia inevitabile.
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