Immigrazione in Italia: più cristiani che musulmani, più ortodossi che cattolici
Roberta Gisotti – Città del Vaticano
Ogni anno l’Idos elabora un rapporto dettagliato sulla presenza straniera in Italia, offrendo spunti di riflessione e sfatando anche pregiudizi sovente indotti dalla non conoscenza della realtà. Tra gli aspetti evidenziati nel Dossier 2019 è la componente religiosa. Paradossalmente in una società grandemente scristianizzata ciò che spaventa forse di più è proprio l’appartenenza religiosa degli immigrati.
La mappa dei credi religiosi
Ma qual è la mappa dei credi religiosi in Italia? Sul totale di 5 milioni 255 mila immigrati regolari, residenti in Italia, la maggioranza è cristiana: 2 milioni 742 mila, pari al 52,2 per cento degli stranieri, tra cui 1 milione 538 mila ortodossi, 931 mila cattolici e 232 mila protestanti. I musulmani sono invece 1 milione e 733 mila, pari al 33 per cento. Ed ancora i fedeli induisti, buddisti e di altre credi orientali e di religioni tradizionali sono 531 mila, oltre a 249 mila atei ed agnostici, pari al 14,8 per cento. Sono dati che contraddicono l’opinione comune di un’invasione islamica, come spiega Luca Di Sciullo, presidente del Centro studi e ricerche Idos.
R. – Abbiamo assistito in questi anni a dei timori, a delle paure legate alle appartenenze religiose degli stranieri, soprattutto appuntate sull’appartenenza musulmana. Ci hanno detto che eravamo invasi da musulmani, tutti integralisti, fanatici, potenziali terroristi. Questo preconcetto è smentito, da una parte sul piano quantitativo dalle cifre, e dall’altra parte anche sul piano – chiamiamolo così – qualitativo, cioè sul tipo di religiosità prevalente degli immigrati. Contrariamente a quanto si pensa, anche tra i musulmani in Italia ci sono tanti di quelli che noi chiameremmo non praticanti; a volte non vanno in moschea e non frequentano la preghiera del venerdì sera ad esempio, oppure hanno un legame con l’islam soprattutto di tipo culturale, ma senza che questo implichi necessariamente un’adesione di fede particolarmente forte e meno che mai radicale, fanatica o integralista.
Un mondo islamico dunque variegato di dettami religiosi e tradizioni culturali anche molto diverse, che non sempre trova però guide formate e preparate, sul piano spirituale ma anche rispetto alle attese sociali delle loro comunità, alle esigenze di integrazione nella società italiana...
R. - Noi abbiamo registrato nel dossier i risultati di un’indagine che è stata effettuata di recente tra imam, che sono presenti in varie regioni italiane. Quello che ne è venuto fuori è il fatto che molti di loro non hanno una specifica preparazione teologica ed hanno la funzione, come dovrebbe essere, più che altro di guida per la preghiera. Noi spesso con una mentalità molto occidentale equipariamo la figura dell’imam a quella del sacerdote o del vescovo, l’equivalente che noi troviamo nella religione cattolica e tra i cristiani. Invece il ruolo che l’imam svolge normalmente è un ruolo anche più sociale, di guida per l’intera comunità, a volte è una figura che media anche i conflitti che intervengono nella stessa comunità e quindi svolge una funzione più ampia di quella che noi siamo abituati ad attribuire ai nostri preti. Quindi è abbastanza normale che le funzioni legate a questa figura siano diversificate e vediamo spesso che gli imam hanno una preparazione teologica musulmana maturata autonomamente, non sempre in centri studi o di approfondimento teologico.
È quindi giusto puntare alla preparazione di questi imam perché siano anche un tramite con la società italiana?
R. - Sì, su questo piano sarebbe un fattore che senz’altro aiuterebbe l‘integrazione e anche l’accettazione, perché noi abbiamo visto che in alcuni casi c’è ancora una tendenza un po’ autoreferenziale di queste comunità. Allora, una disponibilità più generalizzata al dialogo, all’apertura, all’integrazione, certamente aiuterebbe questi processi di inserimento e di reciproca accettazione. Dall’altra parte, però, bisogna dire che anche la società italiana conserva tanti pregiudizi, tanti preconcetti rispetto ai musulmani e rispetto ai migranti. Quindi l’integrazione si svolge sempre come un processo in cui tutte le parti sono in gioco e tutte devono essere anche disponibili ad accettarsi e a riconoscersi reciprocamente.
Nel dossier c’è anche la richiesta di una nuova legge quadro sulla libertà religiosa. Anche qui c’è timore, da parte di molti, che si corra il rischio di concedere troppo e si attenti all’identità cristiana del popolo italiano.
R. - Sì, a volte le religioni vengono strumentalizzare come se fossero un fattore di identità nazionale. In realtà ogni fede, qualunque essa sia, quando è autentica promuove valori universali di fratellanza, di dialogo e di accoglienza. Questo vale per tutte le grandi religioni. Lo spirito autentico di una fede non sta nella chiusura o nell’utilizzo strumentale della religione contro le altre, ma è proprio questa disponibilità generalizzata tra autentici cercatori di Dio che possono anche dialogare tra loro e scambiarsi le esperienze di una fede personale pur nelle differenze dei percorsi e dei credo.
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