Proteste in Iraq. Warduni: giovani e famiglie chiedono i loro diritti
Federico Francesconi – Città del Vaticano
Una vita sempre più difficile che richiede il rispetto dei diritti: il malcontento in Iraq cresce e il Paese che era ricco ora versa in condizioni di totale povertà. Con poche ma emblematiche parole il vescovo Shelmon Warduni della diocesi irachena di Anbar dei Caldei così descrive quanto la popolazione irachena sta vivendo da anni ormai. Oggi la cronaca parla di 31 morti e più di 1000 feriti durante le proteste in cui si chiedono infrastrutture, lavoro, istruzione, sanità, stabilità e indagini sulla corruzione del governo. Dal canto suo il primo ministro iracheno Adel Abdul Mahdi, che ha detto di aver ascoltato le "giuste rivendicazioni" , ha promesso di rispondere alle preoccupazioni della popolazione, pur avvertendo che non ci possono essere "soluzioni magiche". Il dialogo è la strada indicata dal vescovo iracheno:
R. – La vita, in Iraq, non è migliorata, ma peggiorata. Per questo i giovani – poveri giovani! – e le famiglie – povere famiglie! – chiedono i loro diritti: il diritto al lavoro, il diritto alla scuola, il diritto alla ricostruzione della casa irachena … Noi vogliamo i nostri diritti, noi tutti iracheni.
I manifestanti hanno parlato molto di corruzione e mancanza di servizi: sono anche questi i motivi di malcontento?
R. – Sempre, tutti abbiamo bisogno di infrastrutture; sono 16 anni circa he la corrente manca e torna solo di due ore in due ore, alcuni giorni non ne abbiamo per niente e così anche l’acqua potabile e altre cose che sono necessarie per la vita degna dei cittadini dell’Iraq. Questo Iraq, che è molto ricco – molto ricco! – adesso deve essere molto povero: ma è possibile, questo?
Il primo ministro Mahdi ha definito giusta la protesta e ha detto di averne ascoltato le ragioni. Ma quali sono state le sue reazioni effettive, fino a questo punto?
R. – E’ molto facile dire parole, difficile è fare, riconoscere i diritti delle famiglie, dei bambini, degli alunni… dare un po’ di bene. L’Europa, l’America, tutti parlano di interessi. Noi gridiamo a tutto il mondo: per favore, fate una cosa buona. L’Iraq non ha bisogno di nessuno se le cose sono fatte bene.
Secondo le agenzie, il bilancio a oggi è di 31 morti e più di mille feriti, tra manifestanti e polizia…
R. – Questa violenza non si fa nemmeno agli animali. Queste persone rivendicano i loro diritti: bisogna chiamarli e dialogare con loro. Chiedere loro: “Cosa volete?”, chiedere le loro necessità. Vogliamo pace, vogliamo onestà. Il lavoro per tutti i giovani e per tutte le famiglie. Io parlo così apertamente, anche se rischio che mi uccidano: non mi importa. Speriamo che [i governanti] imparino da questo gesto che fanno i nostri giovani.
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