Ancora proteste e vittime in Iraq. Nuove dimostrazioni anche in Libano e Bolivia
Marco Guerra – Città del Vaticano
Non si allenta la tensione in Iraq, dove anche oggi si registrano nuove proteste popolari per il carovita e la corruzione, dopo la dura repressione delle manifestazioni all’inizio di ottobre, costata la vita a 110 persone. Nonostante ieri le autorità abbiano dichiarato lo stato di emergenza, i media arabi riferiscono che nella notte ci sono stati a Baghdad i primi cortei di giovani manifestanti e si sono registrati scontri con la polizia nell'area della Zona verde della capitale. In mattinata le forze di sicurezza hanno sparato colpi di avvertimento in aria e usato lacrimogeni e cannoni ad acqua per disperdere i dimostranti, un intervento che al momento ha causato 2 morti e 100 feriti.
Libano paralizzato dalla disobbedienza
Le proteste per la corruzione e il carovita non sembrano placarsi nemmeno in Libano. In un comunicato del Patriarcato maronita di Bkerke, dove ieri si sono riuniti i membri del Consiglio dei patriarchi cattolici e ortodossi del Paese, si invita il presidente della Repubblica maronita Michel Aoun, ad “assumere le necessarie decisioni riguardo alle richieste della gente”. Il leader degli Hezbollah libanese, il sayyid Hasan Nasrallah, parlerà oggi in un discorso tv alle 16 locali, mentre il Libano rimane paralizzato dalla disobbedienza civile in quasi tutte le regioni. Intanto, Michel Aoun ha respinto ogni richiesta di cambiamento radicale del sistema politico-confessionale e ha ribadito la necessità di sostenere le “riforme economiche” proposte dal governo come unica soluzione alla crisi attuale.
Cile: bloccato l'aumento delle tariffe
L’aumento delle tariffe è alla base anche delle agitazioni in Cile iniziate il 14 ottobre e che hanno causato la morte di 18 persone. Poche ore fa il presidente cileno Sebastian Pinera ha firmato un disegno di legge che annulla l'aumento del 9,2 per cento delle tariffe dell'elettricità, uno dei motivi che hanno scatenato le proteste di piazza antigovernative. ''Questa è una buona notizia per circa sette milioni di famiglie'', ha detto Pinera dopo aver firmato il disegno di legge al palazzo presidenziale accompagnato dal ministro dell'Energia Juan Carlos Jobet e da quello degli Interni Andres Chadwick. Il provvedimento, si legge in una nota della presidenza, va a favore dei settori più vulnerabili della società, della classe media, degli anziani e dei meno abbienti.
In Bolivia contestazioni dopo il voto
Sempre in Sudamerica violenti scontri tra polizia e manifestanti sono scoppiati a La Paz in Bolivia, giovedì sera, dopo che il presidente Evo Morales si è autoproclamato vincitore delle elezioni presidenziali, dopo il primo turno. I cittadini sono scesi in strada per protestare contro i presunti brogli denunciati dall’altro principale candidato, Carlos Mesa. Dopo alcune ore sono arrivati anche i risultati ufficiali resi noti dalla commissione elettorale che confermano la vittoria di Morales.
Ecuador in piazza contro il caro carburante
Ad inizio del mese è stato l’Ecuador ad essere scosso dalle proteste che in 12 giorni hanno lasciato sul terreno sette morti. I disordini dono andati avanti finché il presidente ecuadoriano Lenin Moreno ha annullato il decreto esecutivo 883, che stipulava l'eliminazione totale dei sussidi al carburante.
Ad Haiti la richiesta di dimissioni del presidente
Una ventina le vittime delle proteste che da un mese e mezzo proseguono anche ad Haiti. Innescate dall'aumento del carburante e in generale del costo della vita, si sono trasformate in richiesta di dimissioni del presidente, Jovenel Moïse, accusato di corruzione e di incapacità di fronte alla grave crisi economica in cui versa il Paese. Dimissioni rifiutate da Moïse.
Tramballi (Ispi): esiste una questione sociale di fondo
Ma cosa hanno in comune le folle che scendono in piazza in questi Paesi? Vatican News lo ha chiesto a Ugo Tramballi, editorialista del Sole 24 Ore e consigliere scientifico dell’Ispi:
R. – In questi giorni particolari, diversi Paesi stanno affrontando lo stesso genere di manifestazioni di piazza, principalmente sulle questioni sociali. Ogni Paese ha la sua peculiarità, la sua rivendicazione specifica; però c’è una linea comune, cioè un filo rosso che in qualche modo le lega ed è, appunto, la questione sociale. Ovunque nel mondo, la stragrande maggioranza dei circa 190 Paesi membri delle Nazioni Unite, il problema di fondo è quello della cattiva o inesistente o pessima distribuzione della ricchezza nazionale. Un numero sempre più ridotto di sempre più ricchi e un numero sempre più ampio di persone sempre più povere. Questo è un fenomeno che esiste in ogni Paese, compresi i Paesi europei, compresi i Paesi occidentali più stabili. E credo che sia questo il filo rosso, appunto, che lega in qualche modo tutte queste manifestazioni anche se, come dicevo, in quadri politici e in realtà sociali a volte diversi tra loro.
Come si può intervenire per scongiurare che si acuiscano queste crisi, questo malcontento sociale?
R. – Facendo – appunto – le riforme necessarie. Però, vale per tutti i leader politici di oggi i quali hanno una visione del mondo, delle cose del loro Paese da un’elezione all’altra; poi in mezzo ci sono elezioni regionali, amministrative e quindi siamo sempre sotto elezione. E quindi è difficile che una classe politica così sia capace, abbia il coraggio di fare politiche che all’inizio sono fatalmente sempre impopolari.
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