30 anni senza Muro a Berlino. Bolaffi: fu una rivoluzione democratica pacifica
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Questa sera, nel trentennale della caduta del Muro di Berlino, 30 mila messaggi scritti dai visitatori del Memoriale di Bernauer Straße fluttueranno in aria sulla Porta di Brandeburgo, e in questo 9 novembre concerti non stop si susseguiranno davanti all’East Side Gallery, il pezzo di Muro più lungo rimasto in piedi, 1,3 km lungo il fiume Sprea, decorato da più di 100 graffiti sul lato orientale, immacolato fino a 30 anni fa. Sono due dei tanti modi con i quali la capitale tedesca ha deciso di celebrare l’anniversario, il giorno nel quale “nella città simbolo della guerra fredda, è finito il Novecento, il secolo più violento della storia dell’umanità” come scrive il politologo e germanista Angelo Bolaffi nel suo “Cuore tedesco”, saggio del 2014.
Un evento che ha cambiato i connotati geopolitici dell'Europa
Bolaffi, che ha insegnato Filosofia politica all’Università La Sapienza di Roma e dal 2007 al 2011 è stato direttore dell’Istituto di cultura italiana di Berlino, accosta la caduta del Muro ai grandi movimenti non violenti del Ventesimo secolo, come la lotta di Gandhi in India e quella di Mandela in Sudafrica. Gli chiediamo di spiegarci perché.
R. - Si è trattata della prima rivoluzione democratica che ha avuto successo in terra tedesca, in secondo luogo di un rivolgimento che ha cambiato i connotati geopolitici dell’Europa e del mondo, e non è costato nessuna vita umana. Questo è un fatto grandioso, centinaia di migliaia di persone in piazza hanno abbattuto quel muro che secondo Honecker doveva resistere altri 50 o 100 anni, e non si è sparato un solo colpo. Questo è dovuto a una serie di situazioni contingenti, impreviste e non calcolate. Il fatto è che quel giorno è stato un giorno glorioso per l’umanità.
Perché questa rivoluzione fosse pacifica, quale ruolo hanno avuto le Chiese riformate?
R. - Hanno avuto un ruolo importante perché non solo durante gli anni della dittatura hanno rappresentato un luogo di resistenza spirituale ma perché materialmente le prime manifestazioni di quei lunedì famosi che nell’autunno dell’89 poi portarono alla caduta del muro, partirono proprio dopo le celebrazioni nella Chiesa protestante di Lipsia, la Nikolaikirche, e quindi evidentemente la Chiesa protestante ha avuto un ruolo. Teniamo conto che il padre della cancelliera Merkel che era un pastore protestante ad Amburgo, si è recato nelle terre dell’Est e lì ha svolto la sua attività pastorale, nel cui segno si è formata anche la futura cancelliera.
Dobbiamo anche ricordare il ruolo della Chiesa cattolica, con Giovanni Paolo II, nel spingere tutta la rivoluzione antisovietica…
R. - Evidentemente: in tutto il processo di liberazione dell’Est, la figura di Giovanni Paolo II è fondamentale, soprattutto per quello che è avvenuto in Polonia che è l’antecedente diretto di quanto è avvenuto a Praga, poi a Berlino, in Germania orientale e poi perché la sua figura pastorale, di contraltare al comunismo, ovviamente spirituale, non militare, in qualche modo ha avuto lo stesso ruolo, se possiamo dire, che ha avuto Reagan quando ha detto: “Mister Gorbaciov, abbatti questo Muro”. I due grandi personaggi di quell’epoca sono Reagan e Giovanni Paolo II. Poi ci sono gli eroi della società civile.
Ma che Stato era questa Repubblica democratica tedesca? Davvero era il più all’avanguardia dei Paesi comunisti? Questo però non è bastato per salvarsi…
R. - Certamente la Germania in sé come Paese era più avanzato degli altri quindi è evidente che un esperimento in Germania produce degli effetti superiori agli altri, tenendo conto che l’ex Germania dell’Est comprendeva regioni tra le più industriali della Germania, ma che fosse più avanzata, è una sorta di giustificazione ex post. Certamente c’erano delle garanzie sociali, penso all’aiuto per le madri, per l’attività delle donne, per quanto riguarda gli asili... Però era una dittatura, spietata, una burocrazia occhiuta e quindi non dobbiamo versarci nessuna lacrima di rimpianto. Andiamo a veder poi la realtà e ci rendiamo conto che dal punto di vista economico e sociale la Germania dell’Est oggi è un Paese moderno, ricco e vivace e culturalmente molto attivo. Cosa che non era allora.
Come è stato possibile il miracolo etico e politico che ha portato all’egemonia tedesca, che lei definisce spirituale e culturale, prima che economica?
R. - La Germania dell’Ovest rimase per un lungo periodo fino agli inizi degli anni ’60 sotto una cappa di piombo e direi ancora malata da post-nazismo. Poi, cominciò una grande rivoluzione spirituale, guidata dai giovani, da quella generazione che cominciò a domandarsi che cosa avevano fatto i padri. Il primo processo di Auschwitz nel ’62 cominciò a portare alla luce le colpe, la responsabilità e si cominciò a interrogare su cosa era successo veramente. Il film Olocaust fu uno shock per la popolazione e poi tutta una generazione rovesciò il dibattito portandolo dentro la coscienza morale della Germania. Fino al punto che oggi la Merkel e Steinmeier, il presidente della Repubblica, ripetono che l’esistenza dello Stato di Israele è parte della ragion di Stato della Germania, perché l’esistenza di Israele è anche una conseguenza della colpa tedesca e della Shoah e che oggi l’impegno contro l’antisemitismo e contro il razzismo è un impegno prioritario, di un Paese che ha costruito nel cuore della sua capitale il monumento alla memoria dell’eccidio del Paese contro gli ebrei europei. Questo è un segnale sicuramente molto importante, l’ho definita una metanoia, un rinnovamento spirituale, che ha accompagnato il rivolgimento anche economico e sociale di quel miracolo economico che i cattolici, Adenauer, portarono alla Germania. Bisogna ricordare il ruolo di Adenauer e dei cattolici tedeschi, come del resto quello di De Gasperi e di Schuman per la costruzione dell’Europa unita.
Lei ha scritto anche che la caduta del Muro ha sanato il dissidio spirituale della Germania con l’Europa e le ha consegnato la leadership in Europa. Ma come la sta esercitando ora?
R. – Ritengo - confermato poi dalle polemiche che Trump sistematicamente fa contro la Germania - che un’Europa senza guida egemonica della Germania, nel senso migliore della leadership non del comando, non è possibile. Non temo questa egemonia, temo invece la debolezza della classe politica tedesca. Vedo un momento di confusione anche in Germania, una crisi dei partiti, una cancelliera sulla via del tramonto, e non c’è un’alternativa chiara che possa prendere il posto dopo Merkel. Ho il timore che la confusione che oggi regna in Europa sia giunta anche a Berlino. Questo non è un bene né per la Germania né per l’Europa.
“Dopo averla affondata due volte, tocca oggi alla Germania salvare l’Europa”, scrive ancora. Quali passi dovrebbe fare per costruire un’Europa forte, unita non solo dalla moneta?
R. - Intanto non dovrebbe limitarsi a fare quello che ha fatto finora, cioè fare soltanto il guardiano dei trattati, che è importante, ma è poco. Oggi la Germania dovrebbe in qualche modo andare all’offensiva, non solo far rispettare i trattati, ma aiutare l’Europa ad affrontare una situazione completamente diversa - quella del mondo globale odierno -, rispetto a quel mondo in cui l’idea dell’Europa unita venne lanciata da Adenauer, De Gasperi e Schuman. Io trovo interessante che a guidare la Commissione Europea oggi ci sia una tedesca, Ursula von der Leyen, esponente cattolica della classe politica nata all’Ovest, il cui padre era un importante dirigente della Cdu, e che quindi tocchi ad una personalità tedesca guidare, in questa situazione così difficile, la Commissione, quello che dovrebbe essere, in un futuro ancora lontano, il governo dell’Europa.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui