Cile e Bolivia: due focolai di tensione nel cuore dell'America Latina
Fausta Speranza – Città del Vaticano
Resta tesa la situazione sia in Cile sia in Bolivia, Paesi dell’America Latina accomunati nelle ultime settimane da accese proteste di piazza, anche se distinti nello specifico delle vicende politiche. Nelle ultime ore, l’Organizzazione degli Stati Americani si è pronunciata per entrambi.
A proposito del Cile, il segretario esecutivo della Commissione per i diritti umani dell’Osa, Paulo Abrão, ha confermato che "ci sono accuse e testimonianze molto chiare che comprovano violazioni dei diritti umani nelle azioni messe in atto dalle forze di sicurezza". Per quanto riguarda la Bolivia, il Consiglio permanente dell’Osa, con una risoluzione, chiede alle autorità di “convocare urgentemente elezioni in conformità con il mandato costituzionale e legale boliviano". La Presidente ad interim della Bolivia, Jeanine Áñez, ha presentato martedì a La Paz un progetto di legge per la formazione di un nuovo Tribunale supremo elettorale (Tse) e lo svolgimento di nuove elezioni generali, dopo quelle contestate del 20 ottobre scorso e praticamente annullate. In tutti e due i casi, torna nei documenti dell’Osa la raccomandazione a tutte le parti di "mettere fine alla violenza" e di “garantire il rispetto e la protezione dei diritti umani".
Dei punti in comune e delle differenze tra la situazione in Cile e quella in Bolivia, ne abbiamo parlato con Tiziana Terracini, docente di storia e istituzioni delle Americhe all’Università di Torino:
R. – Oggi sicuramente quello che accomuna è la forte disuguaglianza e la politica. Vengono creati nuovi poteri e questi nuovi poteri sono poi usati per aumentare quella che è una caratteristica comune dell’America Latina, la personalizzazione del potere, in pratica dell’esecutivo. Abbiamo visto il ruolo svolto dal tribunale costituzionale che agisce in favore dell’élite dominante. Si tratta di poteri autonomi creati in quella fase di riforme istituzionali nuove che sono state emanate in America Latina. Le transizioni che stiamo vedendo in realtà stanno formando un quadro regionale dove si inizia a parlare di autoritarismi elettorali, quindi non più vecchi colpi di Stato, ma forme autoritarie dentro un modello democratico si stanno in qualche modo riproponendo. Nel caso della Bolivia e di Evo Morales direi che il tutto inizia, anche se non è l’unica causa ovviamente, da un problema in fondo che possiamo riassumere definendolo di legittimità, ormai da molti anni, almeno dalle elezioni del 2013. Nel caso del Cile, la distanza con la politica è diventata grandissima. Le ultime manifestazioni, che sono diventate pluriclassiste e coinvolgono tutto il territorio, sono proprio contro la politica e i politici.
Fin qui, i punti in comune ma ci sono anche profonde distinzioni da fare...
R. - Sì, certo, le società sono profondamente diverse nel caso della Bolivia e del Cile. Forse noi qui abbiamo un’idea del Cile in progresso economico, per il fatto che economicamente è sempre cresciuto, si è visto un po’ come l’oasi in America Latina, la Svizzera in America Latina. In realtà, io mi soffermerei sul fatto che nell’ambito della regione mantiene un record di livello di disuguaglianza interno al Paese altissimo. E’ fra i 14 Paesi con maggiore disuguaglianza al mondo. La Bolivia si distingue per un altro aspetto. E’ uno dei paesi che ha più percentuale di popolazione indigena in America Latina e quindi anche la nuova costituzione del 2009 ha dato risalto a questo aspetto. Poi sappiamo, Evo Morales è stato il primo presidente indigeno. Anche qui nasce un problema, innanzitutto perché viene fatta una nuova costituzione che contempla meccanismi di democrazia diversi, tra cui uno che viene chiamato “comunitario” ma la stessa idea comunitarista in realtà frattura la società al suo interno, perché la divide in categorie, quindi se vogliamo lede anche il principio di uguaglianza. Ma soprattutto direi che in realtà la maggior parte della società è meticcia e quindi non c’è soltanto una differenza tra bianco e indio ma c’è tutto un discorso molto complicato tra chi non si identifica nell’uno e nell’altro.
In fasi storiche come queste è doveroso guardare ai giovani. Qual è il loro ruolo in questi Paesi?
R. – I giovani in America Latina, in linea generale, sono una categoria molto numerosa e che purtroppo si trova in una situazione molto difficile. I dati del Cile confermano il problema di migliaia di giovani tra i 15 e i 29 anni che non hanno né educazione né lavoro né formazione. Oltre ad essere in numero superiore alla media dell’area, fanno sì che il Cile risulti il sesto Paese al mondo con più “ninis”, ni trabajo ni estudio. Questi giovani ricevono poco aiuto da parte dello Stato, del Welfare e in Cile sono protagonisti della protesta. Ma lo sono in generale anche un po’ in tutta l’America Latina.
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