In Burkina Faso congresso sulla Divina Misericordia
Giancarlo La Vella - Città del Vaticano
La città di Ouagadougu, in Burkina Faso, ospita da oggi sino al 24 novembre prossimo il Quarto Congresso dell'Africa e del Madagascar sul tema "La Misericordia Divina, una grazia per il nostro tempo". Nella celebrazione dell'ultima giornata il Papa sarà rappresentato dall'arcivescovo di Bangui, il cardinale Dieudonne Nzapalainga, nominato dal Pontefice suo inviato speciale. L'idea che c'è dietro l'inizativa è quella di approfondire la conoscenza e l'esperienza della Divina Misericordia, un mistero - si legge nel documento di presentazione del congresso - che è al centro della rivelazione dell'identità di Dio e che è un potente lievito di trasformazione delle relazioni umane e delle strutture sociali. Già nell'ultimo congresso panafricano, che si è tenuto a Kigali, in Ruanda, nel 2016, e che ha riunito più di 600 partecipanti provenienti da 22 Paesi, l'inviato speciale del Santo Padre, il cardinale Monsengwo Pasinya, dedicò l'Africa e il Madagascar alla Divina Misericordia. Da oggi a Ouagadougu un gruppo nutrito di credenti, laici e religiosi, nella loro diversità si incontrano, dunque, per celebrare, promuovere e vivere la fratellanza sotto il segno della Divina Misericordia di fronte alle sfide che impegnano sia l'Africa che il Madagascar. Un'occasione questo convegno, secondo il missionario comboniano, padre Giulio Albanese, direttore delle riviste delle Pontificie Opere Missionarie, per mettere in luce le problematiche del continente, ma in maniera costruttiva.
R. – Bisogna tenere conto che il Continente africano ha grandissime potenzialità; le chiese cristiane, in particolare la chiesa cattolica, hanno una grande responsabilità: non solo di dare voce a chi non ce l’ha, ma soprattutto quella di affermare la giustizia, il diritto. Forse, mai come oggi, questo Continente deve essere percepito dal consesso delle nazioni, non come la metafora della povertà, delle disgrazie, quanto piuttosto come un Continente che rivendica giustizia, dunque, il superamento di quell’atteggiamento paternalistico all’insegna della carità. Le Afriche in fondo chiedono innanzitutto il riconoscimento, un riconoscimento che deve esprimersi in un impegno della società civile in tutte le sue molteplici componenti. In fondo è il riconoscimento anche di quel pensiero missionario di Papa Francesco per cui le periferie sono il centro ed è lì che dobbiamo tenere gli occhi puntati, perché rappresentano il baricentro dell’evangelizzazione.
Come il concetto di misericordia può incarnarsi in un’Africa che non è solo cattolica, cristiana, ma anche islamica, animista e tante altre realtà religiose …
R. - L’antropologia cristiana in fondo è incentrata sul riconoscimento della persona, creata ad immagine e somiglianza di Dio. Dunque essere cristiani, essere cattolici, significa esprimere, manifestare questa misericordia, questa compassione nei confronti di tanta umanità dolente. La nostra fede non può avere delle pregiudiziali rispetto a popoli che hanno un sentire, tradizioni, culture diverse dalla nostra. Il target dell’evangelizzazione innanzi tutto è il regno di Dio che si manifesta attraverso l’affermazione dei valori di quest’ultimo: pace, giustizia, solidarietà, bene comune, rispetto del Creato, quella Casa comune che sta davvero tanto a cuore a Papa Francesco, tenendo presente che la bussola che indica la rotta da seguire a noi e alle chiese africane è rappresentata proprio dalla Laudato si’. Pensiamo alle guerre dimenticate che non fanno notizia, allo sfruttamento insensato delle materie prime, al tema dell’economia. È evidente che l’Africa da questo punto di vista ha ancora molta strada da fare. Le Afriche non sono povere, ma sono impoverite; invocano giustizia, invocano innanzi tutto un riconoscimento nel consesso delle nazioni. Questo continente non è una realtà a sé stante; si inserisce nella cornice, nel perimetro della globalizzazione. Dobbiamo dunque guardare alle Afriche davvero con grande rispetto.
Sullo sfondo di tutto questo discorso, c’è la possibilità di restituire l’Africa agli africani? C’è questa maturità?
R. - A mio avviso le premesse ci sono, perché in questi anni c’è stata una crescita considerevole di associazioni, gruppi e movimenti, soprattutto in diversi Paesi dell’Africa Subsahariana. Sono la cosiddetta “società civile”. È interessante perché le conferenze episcopali si sono molto impegnate su questo versante. La carta da giocare innanzi tutto è la formazione, per affermare una nuova stagione che è quella della consapevolezza. Guardiamo anche al fatto che oggi oltre il 60 percento della popolazione africana è sotto i 25 anni questo la dice lunga sul fatto che questo investimento a medio e lungo termine porterà sicuramente frutto, soprattutto pensando al fatto che la società civile potrebbe avvero rappresentare il vivaio delle nuove classi dirigenti. Credo che questo sia un investimento a cui la cooperazione allo sviluppo deve guardare in maniera intelligente e perspicace.
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